Dalla perquisizione di uno dei covi di Matteo Messina Denaro, quello di vicolo San Vito a Campobello di Mazara, sono venute fuori 5 carte d’identità con la foto del capomafia ma intestate ad altre persone, in vita e incensurate. Documenti contraffatti utilizzati per circa 15 anni, gli investigatori stanno accertando se i titolari delle identità «rubate» ne fossero a conoscenza e quindi complici. La cattura dell’ex latitante numero uno è stata al centro, ieri, dell’inaugurazione dell’anno giudiziario in Sicilia.

Il procuratore generale di Palermo Maurizio De Lucia

Il procuratore di Palermo Maurizio de Lucia, che ha coordinato l’inchiesta che ha portato alla cattura del capomafia di Castelvetrano, ha cominciato la sua relazione sottolineando: «Le intercettazioni sono uno strumento fondamentale per le indagini». Una replica indiretta al Guardasigilli Nordio che proprio alla vigilia della cattura del boss aveva dichiarato: «I mafiosi non parlano a telefono».

Per poi rispondere alle voci su una possibile nuova trattativa dietro la cattura del super boss: «I segnali che vengono da tutte le indagini vanno in una precisa direzione: la mafia non è sconfitta. È il momento di incrementare gli sforzi per battere Cosa nostra. Ringrazio tutte forze di polizia e il Ros per il risultato storico della cattura di Messina Denaro. Una cattura frutto di un’indagine impeccabile, come dimostrano e dimostreranno gli atti, su cui ho sentito da subito gettare ombre. Tutti possono esprimere opinioni, d’altronde esistono anche i terrapiattisti, ma restano i fatti. Dobbiamo fare i processi e poi la gente potrà giudicare quanto è avvenuto il 16 gennaio».

E sulla scarsità di mezzi con cui i magistrati devono fare i conti: «Ricordo la grave crisi della procura di Palermo che, con 15 magistrati in meno rispetto al previsto, va avanti e ottiene risultati. Quindici magistrati in più fanno la differenza in un momento in cui Cosa nostra è in oggettiva profonda difficoltà ma è tutt’altro che sconfitta. L’attenzione della mafia adesso è quella di colmare i vuoti lasciati dall’arresto del latitante Messina Denaro. Stiamo però lavorando intensamente per smantellare la sua rete di protezione. Le evidenze investigative ci raccontano dell’esistenza di una grossa tensione tra le cosche che vorrebbero tentare l’ennesima ricostituzione della sua struttura centrale, la Cupola, e dei vertici. I magistrati – ha concluso De Lucia – sono riusciti a tamponare il fenomeno ma l’organizzazione sta cercando una figura che possa occupare il vuoto lasciato dal latitante (Messina Denaro ndr)».

Se la procuratrice generale Lia Sava ha descritto la mafia ricorrendo alla scienza: «La strategia della sommersione ha consentito al latitante più ricercato dell’organizzazione di farsi curare in una clinica di Palermo per lungo periodo. Cosa Nostra è vitale nell’Agrigentino, vigorosa nella provincia di Trapani. A volte è allo stato gassoso e la respiriamo in certi contesti ambigui. A volte è solida, fredda come il ghiaccio, taglia e ferisce perché, al bisogno, è capace di uccidere ancora. Nel suo stato naturale è fluida, si insinua negli spazi lasciati liberi dallo Stato».

A Caltanissetta il procuratore generale facente funzioni Antonio Patti ha sottolineato: «Continuiamo a indagare sulle stragi del 1992. Pur a distanza di tanto tempo, vogliamo fortemente far luce sugli scenari di quegli anni e su aspetti che, ancora oggi, appaiono avvolti da una nebbia malefica». E il procuratore capo, Salvatore De Luca: «Ci sono opacità di rappresentanti dello Stato».