Editoriale

De Gennaro e Moretti, i gattopardi di Palazzo Chigi

«Tutto cambi perché nulla cambi». Le nomine del gattopardo di palazzo Chigi hanno quella spolverata di novità di genere, unico fatto apprezzabile anche se circoscritto alle presidenze delle società pubbliche, […]

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 16 aprile 2014

«Tutto cambi perché nulla cambi». Le nomine del gattopardo di palazzo Chigi hanno quella spolverata di novità di genere, unico fatto apprezzabile anche se circoscritto alle presidenze delle società pubbliche, ma quando si passa dai generi ai cognomi si rintraccia il profilo noto di quelle dinastie imprenditoriali nazionali, si premia l’establishment economico privato che in questi anni non ha sempre dato buona prova di attaccamento all’interesse collettivo e a visioni innovative dei prodotti e nei rapporti di lavoro si premiano mission industriali che hanno avuto più a cuore i profitti che il lavoro, gli investimenti, la competitività del nostro sistema, speso godendo di commesse anche pubbliche. E che ci ripropongono in contemporanea nomine e licenziamenti, come accade in questi giorni in Marcegaglia, che chiude lo stabilimento di Milano con i suoi 169 lavoratori.
Colpisce in particolare l’attenzione che viene dedicata alla nomina di Moretti a Finmeccanica. Non si può non ricordare che la gestione Moretti alle ferrovie ha significato il sacrificio del trasporto ferroviario pubblico locale. Una visione del sistema ferroviario centrato su poche tratte redditizie legate all’alta velocità, con l’impegno vorace di risorse per infrastrutture che impegnano il territorio, immobilizzano spesa e in alcuni casi hanno alimentato sistemi corruttivi su cui sta indagando la magistratura. Tutto questo in una gestione che ha ridotto i costi, con un peggioramento dell’occupazione e delle condizioni di lavoro nelle ferrovie. Oggi si consegna Finmeccanica a un presidente come De Gennaro e a un Ad come Moretti che non hanno nei loro profili e nelle loro storie personali le competenze utili per governare questa impresa che è più internazionale, più complessa e articolata delle Ferrovie e che forse richiederebbe più un team che “un solo uomo al comando”, come è nelle caratteristiche dell’ex Ad delle ferrovie.
Inoltre a Finmeccanica, che ha subito nella gestione Pansa una concentrazione sul militare a scapito del civile, servirebbe, prima dell’Ad, un piano industriale che rilanci quest’ultimo a partire da Fincantieri, passando per le possibilità che può offrire al paese Ansaldo Energia sullo sviluppo di tecnologie per le Smart City fino alla riorganizzazione di un polo per la produzione del materiale ferroviario e per il segnalamento con Sts che salvaguardi la Breda, oggi a rischio di svendita e ridimensionamento occupazionale e ricostituisca una produzione di bus pubblici, come ha chiesto anche tutto il parlamento italiano con una mozione promossa da Sel, riunificando la Menarini e la ex Irisbus Fiat. Moretti affronterà questo cambio di strategia o confermerà la sua fama di riduttore di costi e di razionalizzatore. In queste nomine non c’è una visione e un progetto di politica industriale e del ruolo delle società pubbliche nel guidare e sostenere una politica di investimenti, salvaguardando il nostro patrimonio industriale, rilanciando l’economia per tutelare e sviluppare l’occupazione più di quanto quanto farà qualunque provvedimento sul mercato del lavoro, come il decreto Poletti in discussione in queste ore alla Camera, che aumentando la precarietà a scapito del lavoro a tempo indeterminato lascia soli e precari i lavoratori responsabili unici di offrirsi al prezzo più basso sul mercato.

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