«De Fusco non è il nostro direttore». Proteste al Teatro di Roma, polizia schierata al botteghino
Arte e politica La comunità artistica ha chiesto a gran voce un nuovo processo di selezione, forte critica all’accordo tra Comune e Regione e allo "sdoppiamento" della carica di direttore
Arte e politica La comunità artistica ha chiesto a gran voce un nuovo processo di selezione, forte critica all’accordo tra Comune e Regione e allo "sdoppiamento" della carica di direttore
«I poliziotti schierati fuori dal teatro, nessun drammaturgo lo aveva mai immaginato». Così commenta qualcuno al microfono mentre ieri pomeriggio una nutrita assemblea «assedia» il Teatro Argentina. La nomina del direttore del Teatro di Roma è una partita su cui la comunità artistica sta fortemente reclamando la sua voce in capitolo: mentre all’interno del teatro si svolgeva il cda, chiamato a sciogliere il nodo della direzione – con Ninni Cutaia e Paola Macchi che si sono tirati indietro per la carica di direttore generale, la poltrona frutto della mediazione tra Comune e Regione che dovrebbe affiancare Luca De Fusco – si sono riuniti circa in 300 fuori dallo stabile. Sono soprattutto artisti e artiste, insieme a operatori, critici, lavoratori e lavoratrici dello spettacolo. L’obiettivo è quello di portare l’assemblea all’interno dell’Argentina, restituire al teatro la sua funzione di «agorà pubblica». Ma l’interlocuzione stavolta si dimostra difficile, e il presidio rimarrà in piazza, fuori dal foyer.
LE EMOZIONI, nel corso del pomeriggio, sono diverse e in parte contraddittorie: da un lato la determinazione e la gioia del sentirsi uniti in una battaglia giusta, che tocca gli artisti e le artiste da vicino ma che riguarda più in generale le politiche culturali del Paese e la possibilità di continuare ad esprimersi nel contesto della nuova egemonia che si sta delineando. Dall’altro, la frustrazione di un dialogo con le istituzioni sempre più difficile e infruttuoso, coronato da tre camionette della polizia in assetto antisommossa a «proteggere» l’ingresso al botteghino – veramente una brutta immagine – insieme a una certa rabbia nel vedere «usate» le proprie mobilitazioni, tra cui la lettera firmata da oltre 700 artisti e artiste contro la nomina di De Fusco, in favore del cosiddetto «accordicchio» che vedrebbe un manager direttore – scelto dal Comune – coadiuvare De Fusco direttore artistico – individuato dai soci della Regione.
Una soluzione per le diverse forze politiche in campo che non accontenta però la comunità teatrale. Come viene affermato al microfono: «La nomina di De Fusco a direttore artistico sarà forse sbagliata nel metodo, ma per noi è soprattutto sbagliata nel merito». A spaventare infatti sono proprio le scelte artistiche che De Fusco potrebbe operare, tenendo presente quanto fatto dallo stesso al Mercadante di Napoli: «L’artista solo al comando, la reiterazione di un mondo che sta per scomparire». Si afferma che cinque anni di De Fusco alla direzione sarebbero «tragici» per il teatro contemporaneo, per la danza, per la ricerca e l’inclusione di genere.
PREOCCUPAZIONI che riguardano in modo particolare le giovani generazioni di teatranti, la cui vita è spesso segnata dalla precarietà e, come affermano, è solamente peggiorata con la recente indennità di discontinuità approvata dal governo – l’intermittenza francese è lontana anni luce, «è una misura peggiorativa rispetto alla Naspi».
Il primo scoglio è ora la domanda da presentare al Ministero per i finanziamenti, in scadenza oggi. Se in quelle carte verrà incluso il curriculum di De Fusco in quanto direttore artistico, potrebbe essere difficile tornare indietro. La collettività in protesta – riunita sotto lo slogan di «vogliamo tutt’altro» – chiede che ciò non avvenga e che, considerate anche le presunte irregolarità della nomina, si ricominci da capo un serio processo di selezione, che porti ad un nome condiviso o quantomeno plurale alla direzione artistica dei diversi teatri che TdR gestisce. L’ultima volta le candidature arrivate sono state 42, i progetti presentati sembra siano stati valutati in appena un paio d’ore. Gli artisti, di Roma ma non solo, chiedono una discontinuità: guardare finalmente alle capacità, alla visione, allo spirito di chi immagina il teatro nel futuro, e non ai «soliti nomi» calati dall’alto.
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