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«Day One DNA», l’hip hop in mostra

«Day One DNA», l’hip hop in mostraI due protagonisti della mostra: Afrika Islam (a sinistra) e Ice-T

Harvard/Un’ampia collezione di oggetti e manufatti vari dagli archivi di Ice-T e Afrika Islam. Alla Cooper Gallery Due icone e collaboratori di lunga data, insieme per celebrare i 50 anni della cultura afroamericana

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 20 gennaio 2024
U_NetCAMBRIDGE (MASSACHUSETTS)

«Sono un membro della Zulu Nation, della Rock Steady Crew e dei Black Spades; b-boy, DJ e producer. Sono cresciuto fra armi, droga, tossici, prostitute; fra neri, portoricani, africani e dominicani. Mia madre è di origini latine, mio padre un nero; ho mangiato rice and beans – riso e fagioli – e arroz con pollo – riso con pollo. Musicalmente sono stato ispirato da artisti come James Brown, Sly Stone, George Clinton, Jimi Hendrix e il jazz. Prima del giradischi, le percussioni hanno avuto un’enorme influenza su di me. Faccio parte della prima generazione di talking nigger usciti dal Bronx». Così ricorda il DJ e produttore Afrika Islam.
Le sue parole danno il via a un viaggio unico all’interno di Day One DNA: 50 Years in Hip-Hop Culture, un’affascinante mostra multimediale attualmente in corso presso la Ethelbert Cooper Gallery dell’Università di Harvard, un’appendice dell’Hutchins Center for African & African American Research. L’esposizione attinge da una ricca collezione di oggetti provenienti dagli archivi di Ice-T e dello stesso DJ Afrika Islam e mira a celebrare i primi cinquant’anni della cultura dell’hip hop.
I primi segnali di questa rivoluzione culturale risalgono all’inizio degli anni Settanta, in quella terra di nessuno, pericolosa e inaccessibile, conosciuta come «Boogie Down Bronx». In quel periodo, mentre una profonda recessione stringeva la morsa sull’economia americana e la stessa New York oscillava sull’orlo del collasso finanziario, le strade dei quartieri più emarginati sembravano fervere di una nuova ondata di energia creativa e di un’originalità senza precedenti.

LA DRUM MACHINE
L’esibizione comprende tutto: fotografie, filmati, laminati di tour, volantini di feste, riviste, abiti su misura e attrezzature di registrazione, inclusa la drum machine/sampler E-mu SP-1200 utilizzata da Afrika Islam per comporre gran parte della musica dei primi quattro album di Ice-T. La diversità dei media ha reso chiaro il fatto che l’hip hop non è solo musica, e non lo è mai stato.
La grande tematica è la collaborazione, racconta la curatrice della mostra Laylah Amatullah Barrayn. Poiché questo è l’archivio condiviso di Ice-T e Afrika Islam, racconta la storia della loro amicizia e della loro partnership artistica. La coppia si incontra all’inizio degli anni Ottanta nel club Radiotron di Los Angeles, conosciuto ai più come l’ambientazione dei film Breakin’ e Breakin’ 2: Electric Boogaloo. «Volevo essere un rapper», afferma sulle pagine del Boston Globe Ice-T che era l’MC del club, ma senza il benestare di qualcuno di New York, non potevi davvero essere davvero un rapper. L’incontro con Afrika Islam, già noto dj radiofonico e in diversi club di New York, ha aperto le porte di una nuova dimensione per il pioniere del gangsta rap. Afrika Islam lo invita a raggiungerlo nel Bronx e a stare con lui nel suo appartamento, aiutandolo poi a immergersi nella vita artistica di NYC, facilitando incontri e connessioni. «L’esperienza è stata uno shock culturale – ricorda Ice-T -. Non avevo mai vissuto in un condominio, con così tante persone ammassate insieme».
Ed è proprio il monolocale/studio di Afrika Islam nel Bronx a esser riprodotto alla Cooper Gallery, per un’esperienza completamente immersiva, con centinaia di dischi ma anche tantissimi altri particolari dai quali emerge l’essenza della cultura popolare di quell’epoca: fumetti, cartoni animati e serie tv (sci-fi e arti marziali). Senza dimenticare le iconiche scarpe da ginnastica. Essendo un B-boy, Islam possedeva un arsenale di sneaker. Tutti questi elementi rappresentano ciò che di più caro un giovane di quegli anni immerso nella cultura hip hop avesse. In mostra alla galleria ci sono i suoi primi giradischi Technics 1200 risalenti alla fine degli anni Settanta e un mixer originale Vestax PMC 20SL del 1985. I visitatori possono fare un tour di questo universo musicale grazie a una stazione di ascolto che trasmette le registrazioni di Zulu Beat, il programma radiofonico hip hop lanciato nel 1982 da Afrika Islam su WHBI di New York.

L’APPARTAMENTO
Dopo aver ottenuto un contratto da 40mila dollari con la Sire Records, Ice-T e Afrika Islam hanno acquistato l’E-mu SP-1200 e hanno registrato l’intero album Rhyme Pays (1987) in quel piccolo appartamento. Il debutto di Ice-T, con brani iconici come 6 in the Mornin’ e Make it Funky, ha segnato la sua affermazione come il primo rapper hardcore della West Coast a ottenere piena accettazione nel luogo di origine dell’hip hop. Afrika Islam, in veste di produttore e compositore dell’album, merita ampi riconoscimenti per aver perfezionato il suono distintivo del rapper, che si differenziava dagli stili predominanti nella West Coast di quel periodo.
Ice-T è stato il pioniere, il primo rapper della West Coast a siglare un accordo importante con la Warner Bros. E questo risultato è maturato solo grazie al suo viaggio a New York e agli incontri con le figure chiave del settore. Non solo Ice-T e DJ Afrika Islam, anche altri rapper e dj frequentavano assiduamente quella casa.
In mostra ci sono anche le prime riviste rap degli anni Novanta, da The Source a Vibe per arrivare a Rap Pages, veri e propri manufatti culturali che raccontano storie di artisti emergenti, tendenze di moda, dibattiti sociali e innovazioni musicali, offrendo un contesto prezioso per comprendere l’evoluzione dell’hip hop. L’esposizione di pubblicazioni iconiche riveste un ruolo cruciale nella narrazione della mostra: The Source, considerato la «bibbia dell’hip hop», ha tracciato una prospettiva analitica sulla cultura, mentre riviste come Word Up e Rap Masters, precedenti a The Source, si sono concentrate su aspetti più divertenti, con poster e foto di concerti. Queste pubblicazioni sono testimonianze viventi della ricchezza e della diversità di questo movimento artistico e sociale.
Completano l’esposizione alla Cooper Gallery poster vintage della Marvel e una serie di film sulle arti marziali su vhs che hanno influenzato entrambi gli artisti alle origini della loro carriera. Libri formativi includono una biografia del grande chitarrista Jimi Hendrix e una prima edizione di Trick Baby (1967) di Iceberg Slim, l’autore underground noto per aver ispirato il soprannome di Ice-T e le narrazioni in prima persona che definiscono il gangsta rap.
L’archiviazione di materiale come registrazioni musicali, fotografie, manifesti di eventi, abbigliamento caratteristico e altro ancora, consente di tracciare l’evoluzione di questa cultura dall’umile «Day One DNA» fino a diventare una forza globale che ha influenzato la musica, la moda, l’arte e la società. Questi archivi diventano risorse educative preziose, stimolando la riflessione critica e il dialogo intergenerazionale sull’alterità, l’uguaglianza e l’importanza di dare voce a esperienze spesso trascurate.
Come afferma la curatrice «l’archiviazione e la conservazione rivestono un’importanza fondamentale. Ho osservato gli attori e i protagonisti di questa cultura esprimere creatività, determinazione e lasciare un’impronta indelebile nel mondo. L’esperienza nera è un’esperienza ampia, dinamica, globale con molteplici sfaccettature. La ragione principale per il lavoro che faccio sta nel riconoscerne la bellezza». Nel concludere la nostra intervista aggiunge: «Desidero che le persone conservino nella memoria l’evoluzione di questa cultura come forma artistica, riflettendo su come tutto ebbe inizio – il Day One DNA». La mostra prosegue fino al prossimo 31 maggio.

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