Se ogni storia che si rispetti ricalca il viaggio dell’eroe, l’eroe di questa campagna elettorale a 5 Stelle si chiama Luigi Di Maio. Piazza del Popolo non è pienissima, la gente riempie poco più di metà dello spazio, ma traspare ottimismo. Si aspettano grandi cose dal loro leader e dalle elezioni. Il viaggio dell’eroe, spiegano, è durato 30 mila chilometri. Lo aspetta un palco proteso verso il pubblico con leggio presidenziale. L’eroe si presenta trionfante, con tanto di governo già pronto. «Ho letto gli ultimi sondaggi e posso dirvi che siamo a un passo dalla vittoria», annuncia Di Maio, anche se non specifica cosa intenda per «vittoria». La polarizzazione è tutta con il centrodestra, anche se Grillo trova la zampata comica: «Io voto Berlusconi – annuncia il fondatore – sapete, ho una famiglia, devo salvare il matrimonio, raddoppiare casa». Di Maio la mette giù in questo modo: «Il centrosinistra è fuori combattimento. Non abbiamo mai governato questo paese ma abbiamo una squadra di persone giuste al posto giusto. Loro invece passano il tempo a litigare. Domenica sarà un referendum».

PRIMA DI LUI, verso il tramonto arriva Virginia Raggi, sindaca e padrona di casa. Ha rischiato di mandare all’aria tutto il M5S a colpi di forzature e ha sperimentato per prima, con molti avvicendamenti e scontri interni, l’esecutivo dei tecnici . Forse avrebbe il compito di preparare il pubblico alla svolta di governo, ma non sceglie toni istituzionali e usa parole più dure di quando, un anno e mezzo fa, da questa stessa postazione lanciò l’assalto elettorale al Campidoglio. «Dobbiamo completare il cammino iniziato qui – dice – abbiamo una sola possibilità, che ci consentirà di scrivere la storia. Dobbiamo rivoltare il sistema dei partiti vecchio e marcio. Ci stiamo opponendo a un’unica accozzaglia». Alessandro Di Battista parla «per l’ultima volta» da deputato: «Possiamo stravincere, sento un clima nuovo, non solo di cambiamento ma di riscatto».

IL VIAGGIO dell’eroe Di Maio è durato due mesi, ma è cominciato forse ancora prima, cinque anni fa quando per la chiusura della campagna elettorale il Movimento 5 Stelle aveva riempito un bel pezzo di piazza San Giovanni. Fu un successo inatteso, che anticipò il grande boom. Si presentarono centinaia di giovani sventolando un curriculum e rivendicando un posto in una società che li costringeva alla precarietà. «Non c’è nulla di male a esser populisti!», urlavano dal palco. Adesso, cinque anni e una legislatura dopo, non c’è più Gianroberto Casaleggio.
Arriva suo figlio Davide. Il suo sistema operativo Rousseau appare sempre meno centrale nelle vicende grilline e lui inciampa nell’allegoria quando racconta di come Camillo Olivetti inventò la macchina da scrivere ma fornisce un’immagine non proprio orizzontale del M5S: «Un uomo può cambiare la vita di tanti, oggi noi stasera siamo tasti di una macchina». «Mamma, tranquilla sono con gli onesti», recita uno stendardo. Compare l’onnipresente vessillo del M5S Romania, che pareva uno scherzo e invece dopo anni di presenza fissa ha persino fatto qualche proselito. Al gazebo che ospita le macchinette per le donazioni automatiche c’è la fila: metti i soldi e ti esce la ricevuta. Si accettano anche carte di credito e bancomat.

POI ARRIVA DI MAIO e annuncia: «Stasera finisce l’era dell’opposizione e inizia quella del governo». Si rivolge ai suoi coetanei: «Non sentitevi in colpa se non trovate un lavoro: gli investitori internazionali mi dicono che non c’è ripresa». Annuncia il primo decreto legge del suo primo consiglio dei ministri: «Ci dimezziamo lo stipendio e tagliamo 30 miliardi di sprechi. Bastano venti minuti per farlo». Dalle restituzioni degli stipendi ai tagli massicci, è un passaggio unico e la gente ti applaude. Poi legge una specie di documento generazionale, nel quale racconta una generazione, la sua. Racconta di giovani che pensavano di vivere in un mondo perfetto che si è sgretolato. Il loro scopo era quello di trovare un lavoro e mettere su famiglia e invece tutto questo è diventato impossibile, per questo rivendicano il diritto a guidare il cambiamento. Nella storia vista da Di Maio non c’è Genova 2001, non c’è l’Onda studentesca, non ci sono le lotte di questi venti anni. C’è una normalità da ristabilire: «L’Italia deve adattarsi al mondo che è cambiato». Dunque è arrivato il momento di farsi largo, «è la selezione naturale che lo chiede, è la legge dell’evoluzione della specie».

Segue un elenco sincretico di parole che rimandano a ideologie differenti: «Siamo la generazione del ‘nonostante tutto’. Abbiamo lo spirito degli imprenditori e dei commercianti. Ci siamo adattati all’incertezza in un mondo in cui si arricchisce l’un per cento dei potenti contro il restante 99». E poi: «Trasparenza, competenza e meritocrazia», «Vogliamo uno stato solidale ma liberale». Infine la promessa: «Non sarà tutto rose e fiori, ma nessuno sarà lasciato indietro».
Grillo parla per ultimo. «L’unico partito che c’è oggi in italia siamo noi – gongola – abbiamo un leader, un programma, degli eletti e un’ideologia. Adesso possiamo governare e fare delle cose». Quando afferma che «le piazze forse sono un po’ passate di moda» qualcuno dal pubblico rumoreggia e allora lui risponde: «Può darsi che un giorno torneremo ma adesso dobbiamo realizzare dei punti del nostro programma. E ricordate: quando avremo gli strumenti per fare un referendum alla settimana da casa, il M5S potrà anche sciogliersi».