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«Dark Phoenix», le inquietudini della giovinezza nel mondo degli X-Men

«Dark Phoenix», le inquietudini  della giovinezza nel mondo degli X-Men

Cinema Il nuovo capitolo della saga diretto da Simon Kinberg

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 8 giugno 2019

Annunciato da una serie di stroncature piuttosto feroci, il nuovo capitolo della saga degli X-Men (ancora esiliati alla Fox) è in realtà un cinefumetto di quelli che – pur senza tentare grandi operazioni di riscrittura – fanno molto bene quel che promettono di fare.

LA SAGA della Fenice nera – la pietra angolare della mitologia degli X-Men – scritta da Chris Claremont, segna il passaggio all’età adulta dei mutanti. Claremont – cui si deve il ciclo più amato degli Uomini X – ha saputo trasformare le loro storie in una specie di serie tv ante litteram nella quale elementi di soap e space opera s’intrecciavano con le problematiche adolescenziali così come erano state raccontate al cinema da John Hughes. Gli X-Men di Claremont stavano ai supereroi come l’indie rock al fm rock. Il nuovo mondo che emerge dalle ceneri di quello vecchio.

E anche il frangente temporale fa sì che gli X Men secondo Claremont riescano ad accogliere meglio di altre serie Marvel le inquietudini legate all’orientamento sessuale e alla definizione del gender. In questo senso la saga della Fenice nera cinematografica – pur senza grandi sforzi – si conserva fedele alla matrice claremontiana. Si poteva certamente fare meglio, ma il film non maltratta la mitologia che porta sullo schermo.
Quando nel corso di un’operazione di salvataggio di una missione spaziale Jean Grey (Sophie Turner, la Sansa di Game of Thrones) è investita da quella che sembra essere un’incontenibile tempesta solare, i suoi poteri telepatici e telecinetici diventano incontrollabili.

Così, mentre Charles Xavier (McAvoy) continua il suo lavoro per dare vita all’utopia di un’umanità in grado di convivere pacificamente con i mutanti, Jean rischia di fare saltare i fragilissimi equilibri esistenti. Senza contare dei misteriosi e letali alieni (capitanati da una Jessica Chastain algida e filiforme) che desiderano utilizzare i nuovi poteri di Jean per rifondare la loro civiltà.

COSÌ mentre ci si chiede perché un gruppo misto e dal gender diversificato debba (ancora…) chiamarsi X-Men, il reparto effetti speciali riesce a dare vita a una serie di set piece davvero appassionanti. Tutto il finale sul treno è degno di menzione (con particolare riferimento al magnifico Nightcrawler) la missione di salvataggio iniziale richiama alla memoria l’utopia space-age dalla quale è sorta l’idea iniziale dei mutanti. In un momento in cui questioni come razza, etnie, frontiere, orientamento sessuale e definizione del gender sono i bersagli privilegiati dei fascisti, l’ingenuo universalismo utopico degli X-Men risuona di un’urgenza assolutamente inedita.

Si può sempre adottare la maschera del cinismo esperto da analista crossmediale di pop culture e rimproverare al film i suoi limiti, ma sarebbe come non avere (mai) compreso che per ogni Roy Thomas o Roger Stern alla Marvel c’è sempre un Bill Mantlo che manda avanti la casa delle idee quando le idee nuove latitano un po’ riscrivendo quelle degli altri. X-Men: Dark Phoenix di Simon Kinberg funziona un po’ così, come un episodio di medio livello, di quelli che si leggevano senza pensarci troppo. E poi negli occhi e nella testa restavano solo pochi momenti privilegiati: solo l’immagine finale vale il biglietto d’ingresso.

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