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Daria Nicolodi, la disubbidiente

Daria Nicolodi, la disubbidienteDaria Nicolodi

Cinema Addio all'attrice fiorentina, dal debutto teatrale con Luca Ronconi ai film cult con Dario Argento

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 27 novembre 2020

Per Daria Nicolodi, morta ieri a 70 anni, la definizione di attrice di culto non è mai stata sprecata. Anche a scorrere con la sola memoria la sua filmografia, ci si trova davanti a titoli cardine dell’immaginario cinematografico «di genere» (qualunque cosa voglia dire). Ma non solo. Nata a Firenze il 19 giugno 1950, inizia a recitare giovanissima in teatro nella sua città, iscrivendosi diciassettenne all’Accademia di Arte Drammatica di Roma, debutta nel 1968 diretta dal suo maestro Luca Ronconi nel Candelai, con cui poi torna a recitare in seguito nell’Orlando Furioso.
Su grande schermo esordisce con una tripletta impressionante. Uomini contro di Francesco Rosi, Salomé di Carmelo bene e La proprietà non è più un furto di Elio Petri. Tre film che racchiudono in sé alcune delle tensioni più forti del cinema italiano degli anni Settanta.

SOPRATTUTTO nel film di Petri, Nicolodi riesce a dare corpo a un’idea di seduzione sulfurea, minacciosa e allo stesso tempo sottilmente autoironica e comica. Da subito la sua presenza è immediatamente eccessiva e allo stesso perfettamente in linea con lo stile del film assumendone come una seconda pelle le urgenze formali. Un’attrice squisitamente moderna, che non si è mai preoccupata di nascondere il fatto che, davanti alla macchina da presa, stava in fondo «recitando» o, per dirla con gli anglosassoni, «giocando» (play). Ed era proprio questa sua «adesione distaccata» ai propri ruoli a conferire l’aura di modernità disincantata alla sua presenza.

LA BELLEZZA per nulla canonica, pochissimo italiana, di matrice europea, addirittura liberty o preraffaelita, faceva di lei una presenza ineffabile. E probabilmente solo Mario Bava, fra coloro che l’hanno diretta, ha saputo coglierne il segreto nella mirabile scena dei capelli posseduti di Shock, canto del cigno del maestro. Momento unico del nostro cinema, e non solo per il virtuosismo tecnico messo in campo, ma per lo straordinario momento di complicità che unisce l’interprete al suo regista. Certo, per il pubblico italiano, e non solo, lei sarà sempre Gianna Brezzi di Profondo rosso, e forse non può essere diversamente. Nel capolavoro di Dario Argento, autore al quale sarà legata e associata indissolubilmente, al punto da rendere addirittura superflua qualsiasi considerazione in merito, lei incarna dei magnifici punti di fuga, quasi un sidekick comico rispetto al blowupiano David Hemmings.
Quasi, ovviamente, perché il momento in cui osserva la bambola impiccata, è entrato giustamente negli annali del cinema «da paura», con lo sguardo della Nicolodi a reggere tutto l’orrore del momento. Certo, la percezione di Daria Nicolodi attrice è divorata dal successo mondiale di Profondo rosso. Lei, consapevole di incarnare un momento chiave della storia del cinema, assume su di sé il valore mitopoietico del film sino in fondo. La relazione umana e professionale con Dario Argento prosegue con Suspiria (1977), Inferno (1980), Tenebre (1982), Phenomena (1984), Opera (1987) e dà alla luce Asia. Lei diventerà il segno del cinema di Dario e una presenza ineludibile nei film dei registi del clan argentiano (Le foto di Gioia, film delirante e a suo modo «bellissimo» di Lamberto Bava, Paganini Horror di Luigi Cozzi). Sia completamente calata nei colori di Luciano Tovoli in Suspiria che nelle luci fredde e assolate di Tenebre (chi può dimenticare il suo urlo finale?), le immagini di Argento sembravano modularsi su di lei.

IL SUO APPORTO alle sceneggiature di questi capolavori argentiani non può essere taciuto e trovava nel comune interesse per l’occulto e le sue «coincidenze» un terreno fertilissimo. Tutta la stagione maggiore di Dario Argento vive nel segno indimenticabile di Daria Nicolodi. Non a caso i due si ritrovano, con la figlia Asia, per La terza madre, cruentissimo terzo capitolo della saga delle Madri infernali. Ma non era solo Argento e horror, Daria Nicolodi. Ettore Scola la convoca per Maccheroni e Mimmo Calopresti richiede la sua presenza per La parola amore esiste.
Appare inoltre in Scarlet Diva della figlia Asia, nuovo affascinante capitolo di una storia famigliare vissuta in pubblico e a faccia alta, proprio come quella storiaccia di hashish che costò a lei e ad Argento due notti a Regina Coeli, inflitti alla coppia da un’Italia piccola piccola e nera dentro, ma nera per davvero. Ora che Daria Nicolodi se n’è andata, scompare un altro pezzo di un’Italia insubordinata, creativa, bella e selvaggia. Riottosa alle regole, splendida nella sua disubbidienza.

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