Dante in Cina, baluardo patriottico o linguistico?
Omaggi Negli anni ’40, lo scrittore Lao She (1899-1966) compose tre sapienti saggi sulla «Commedia». Letti oggi, ci appaiono l’espressione del dissenso contro il silenzio a cui si voleva piegare la letteratura
Omaggi Negli anni ’40, lo scrittore Lao She (1899-1966) compose tre sapienti saggi sulla «Commedia». Letti oggi, ci appaiono l’espressione del dissenso contro il silenzio a cui si voleva piegare la letteratura
Parlare di recezione di Dante in Cina implica limitare il discorso a un arco temporale di circa cento anni e concentrarsi principalmente sull’attività traduttiva, poiché una feconda critica dantesca non si è mai sviluppata. In un recente saggio del 2015, Rassegna degli ultimi 100 anni di Dante in Cina, il medievista Jiang Yuebin muove critiche severe ai colleghi comparatisti, e ai pochi dantisti, accusandoli di essersi rinchiusi in un isolamento che li ha resi incapaci di instaurare rapporti dialogici e interdisciplinari con il resto del mondo e soprattutto di offrire contributi originali alla dantistica mondiale.
In realtà nelle prime decadi del ’900 vi fu un frequente ricorso a Dante, alla funzione e al ruolo che svolse all’interno del canone letterario europeo. Liang Qichao (1873-1929), ad esempio, protagonista del fallito movimento riformista (1898), inserì Dante, con sembianze da immortale taoista, tra i protagonisti del suo melodramma incompiuto La nuova Roma (Xin Luoma 1902), con cui avrebbe voluto scuotere il popolo cinese affinché non lasciasse che il paese venisse «affettato come un melone» dalle potenze straniere ma agisse per la creazione di una moderna nazione, la quarta Roma, come in Italia Mazzini, Garibaldi e Cavour erano riusciti a liberarsi dal giogo straniero.
È un Dante politico, patriottico, quasi un eroe del Risorgimento quello tratteggiato da Liang, diversamente dal Dante, padre della lingua italiana, che troviamo spesso accompagnato da Chaucer e Lutero nei saggi di Hu Shi (1891-1962), tra i promotori del movimento di riforma linguistica e letteraria degli anni ’20.
Sono anni in cui si comincia a manifestare quel curioso interesse e rispettoso ossequio che nel corso del ’900 numerosi scrittori e intellettuali tributarono a Dante, rendendolo uno dei topos culturali ancor oggi maggiormente citati, come dimostra l’omaggio riservatogli dallo scrittore Gao Xingjian (1940), nel suo discorso davanti all’accademia svedese in occasione del ricevimento del premio Nobel per la letteratura nel 2000, o la citazione dal Paradiso che Yu Hua (1960) ha voluto inserire nel suo libro, La Cina in dieci parole (2012). All’interno di questa narrazione monocroma una delle voci più originali fu quella dello scrittore Lao She (1899-1966), che negli anni ’40 compose tre sapienti saggi sulla Commedia che, letti oggi, ci appaiono l’espressione del dissenso contro il silenzio a cui si voleva piegare la letteratura. Il merito che Lao attribuisce alla Commedia è di aver spalancato le porte alla letteratura, Dante con il suo viaggio nell’animo umano ha aperto agli scrittori spazi e orizzonti potenzialmente infiniti.
Dante baluardo contro una letteratura mero strumento della politica, nella Cina degli anni ’40, e, mutatis mutandis, Dante baluardo contro la commercializzazione della letteratura nella Cina degli anni ’90, è il monito suggerito dalla scrittrice Can Xue (1953), che nel suo corposo volume Un eterno esercizio: Analisi della ‘Divina Commedia’ (2004), definisce la Commedia uno dei capolavori della «letteratura pura», concetto a cui si dedica da anni in polemica con la tendenza commerciale e popolare intrapresa dalla letteratura cinese.
Anche per lei il viaggio nell’animo umano, con cui Dante ci svela la complessità, e al contempo la semplicità, dei «meccanismi» dell’essere umano, offre alla letteratura infiniti sentieri creativi.
Già da queste poche citazioni, si comprende che l’attività traduttiva cinese si concentrò principalmente sulla Commedia, di cui si presentarono per la prima volta, esattamente un secolo fa in occasione del 600° anniversario della morte di Dante, i primi tre canti dell’Inferno, tradotti da una versione giapponese, a sua volta realizzata su versioni inglesi e tedesche. Per tutto il ’900 le traduzioni continuarono ad esser realizzate attraverso lingue intermediarie, solo agli inizi degli anni ’80 del secolo scorso l’apertura di dipartimenti di italianistica nelle accademie cinesi permise a una schiera di giovani interpreti di confrontarsi direttamente con la lingua di Dante. Arrivarono in Cina il Convivio, la Vita Nova, il De Monarchia e quattro nuove traduzioni della Commedia, una quinta sta per uscire in questi mesi in occasione del 700° anniversario.
*La Sapienza, Università di Roma
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