Cultura

Danni Antonello, la macina dei versi scuri e consistenti

Danni Antonello, la macina dei versi scuri e consistenti

Poesia «La spina dorsale - poesie 2009-2017» (Giometti&Antonello), la raccolta finora più completa delle poesie dell'autore scomparso quattro anni fa. Veneto attivo in quel di Macerata dove animava la mitica libreria Scaramouche

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 5 gennaio 2022

A quattro anni dalla morte prematura di Danni Antonello (1978-2017), poeta certo non facile, eclettico veneto attivo in quel di Macerata dove svolgerà il ruolo di libraio antiquario ed editore (sua la mitica libreria «Scaramouche»), arriva puntuale La spina dorsale – poesie 2009-2017 (Giometti&Antonello, pp. 176, euro 20), la raccolta finora più completa delle sue poesie. E va subito detto che questo corpo poetico è quanto mai lontano da una poesia riconciliata («il verso preciso ormai l’ho perso»), piacevole, figlia di un tempo (il nostro) prigioniero di un conformismo che ormai non si nasconde più ma esprime la sua protervia e la sua superficialità.

È UNA POESIA che stride, che macina parole essenziali, che ritorna a un antico rapporto con le cose e la natura («Lune guardiane, venti a bandiera, si sgretolano / le colline ma non si scompongono. / Chi chiama ha memoria, / dei varchi d’aprile, dei dirupi»), quasi ascetica: «raccolto il latte dalle nuvole / superba ne misura l’acido / stringendo i polmoni: / la cosa del mondo è munta, incipit / comoedia». In più è un corpus poetico frammentato, che sfugge a qualsiasi inquadramento, consumo. Forse sarebbe più giusto parlare, per la poesia di Antonello, di afflato misterico-religioso. Scrive Andrea Ponso nella prefazione: «Danni è sempre stato un vero ladro dei testi poetici, nel senso che li assimilava, li ruminava e li digeriva, con umiltà ma mai con spirito epigonale: mi piace pensarlo come una sorta di macina, di quella antica dei mulini ormai diroccati e scomparsi, capaci di dare ancora quella meravigliosa crusca scura, ruvida e povera, ma consistente».

E NON È UN CASO che tra i suoi ultimi versi di scavo in una realtà che si fa sempre più rarefatta fa capolino il desiderio di una lingua primigenia, quasi una palingenesi per ritrovare «la farina d’un alfabeto» e ricostruire una natura a misura d’uomo. «Verrò, solo, ramo corroso / dal sale, sotto la tua luna. / Ora per ora me ne vado, / lontano da te, a dimenticare / l’odore della paglia nella stalla». Una poesia ascetica, alla ricerca dell’essenziale, «nessuna parola gratuita» scriverà negli ultimi versi e frammenti del 2017. Frammenti che sanno d’addio a una vita lasciata tropo presto a 39 anni.

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