Danilo Zolo, un intellettuale «dalla parte del torto»
ADII Addio all’autore di «Il principato democtatico», e altri libri fondamentali per comprendere il presente della politica. Affrontava la realtà girandoci intorno, con l’obiettivo di coglierne la contraddizione
ADII Addio all’autore di «Il principato democtatico», e altri libri fondamentali per comprendere il presente della politica. Affrontava la realtà girandoci intorno, con l’obiettivo di coglierne la contraddizione
Danilo Zolo è stato uno dei più grandi intellettuali italiani del secondo Novecento. Ha scritto il più importante libro sulla democrazia ancora oggi in circolazione in Italia. Ha inoltre avviato una riflessione critica sulla politica internazionale e il cosiddetto pacifismo giuridico. Senza sbiadire in nulla, la sua analisi continua a porsi autorevolmente all’origine dell’attuale critica internazionale dell’ordine liberale post-Guerra fredda. Un giorno gli dissi che Hardt e Negri in Empire avevano seguito le sue indicazioni. Tacque, come quando dieci anni prima gli avevo detto che mi aveva fatto capire che Kelsen occorreva leggerlo a confronto con Carl Schmitt. Un sorriso compiacente, non compiaciuto. Di chi ti spinge a ricordare, anzitutto, la figura di uomo generoso e affettuoso. «Un affettuoso saluto, Danilo» era la firma della sua email. Sapeva anche irrigidirsi.
IN UNA INTERVISTA a Paolo Ermini del Corriere della Sera, Matteo Renzi ha imputato al correlatore prof. Danilo Zolo il suo 109 quale voto di laurea, «per la sua analisi ideologica di La Pira che io contestai». Sembra di vederlo Zolo, sorridente, uno che aveva scelto una vita ascetica con i giovani cattolici della Firenze pacifista, ribellarsi sotto la barba. Lui che del consiglio comunale di Firenze aveva fatto esperienza alla metà degli anni Novanta, maturando lì la convinzione che la democrazia aveva smarrito la capacità di ascolto.
Quando muore un intellettuale corre l’obbligo di collocarlo? Chi è Danilo Zolo, acerrimo nemico scientifico e accademico di Giovanni Sartori, e autore di un libro in ricordo dell’amico e mentore Norberto Bobbio? Storico collaboratore del manifesto, chi è l’autore di Il principato democratico, Cosmopolis, ma anche di Scienza e politica in Otto Neurath? Zolo si definiva un realista, ma il suo realismo era quello dell’intellettuale che affronta la realtà girandoci intorno, con l’obiettivo di cogliere qualche elemento di contraddizione, e metterla in scacco. Non solo non c’era alcun compiacente conservatorismo nella sua scelta epistemologica. Soprattutto Zolo si oppose agli incipienti discorsi che, nei primi anni Novanta, iniziarono a stravolgere la realtà in nome della libertà di interpretazione. Zolo detestava chi urlava in televisione, così come oggi detesterebbe coloro che sentenziano sui social.
IL SILENZIO sta accompagnando la sua morte, e non c’è dubbio che questa è stata anche la sua scelta. È andato via senza dircelo. Come mi ha scritto un amico dal Brasile, tuttavia, fa male che della sua morte non s’interessi neppure la cronaca cittadina. È forse questo lo specchio fedele di una situazione che dobbiamo dare per definita e a cui occorre solo rassegnarsi? L’assenza di una opinione pubblica e di una passione politica?
In uno dei nostri incontri mi disse che più approfondiva i suoi studi e più smarriva un punto di riferimento. Questo non sembrava turbarlo affatto, al contrario lo divertiva. In quella stessa occasione mi fece un collegamento, ostentatamente buffo e paradossale, tra gli àscari, i soldati eritrei dell’Africa Orientale Italiana, e gli acari della polvere, una sottoclasse di parassiti che in quegli anni stavano favorendo ampiamente la vendita di biancheria anallergica. Capii solo in seguito che stava affrontando un tema nuovo, serissimo, che fu poi anche l’ultimo: quello della paura. E del terrorismo. Zolo era rivolto al Mediterraneo, che a volte osservava come se fosse nel rifugio elbano. Il suo interesse per la causa palestinese lo ha spinto verso dolcissimi tratti di romantica passione. Era di quelli che non hanno paura di «stare sempre dalla parte del torto». La prima volta che lo incontrai mi regalò gli appunti del suo corso in Filosofia del diritto, riprodotti in ciclostile. In copertina c’era l’immagine di un tronco storto, a cui, con robuste funi, si cercava di imporre il diritto. Il suo impegno per l’istruzione nelle carceri era sincero, una responsabilità da vero radicale.
Con la scomparsa di Danilo Zolo si chiude una stagione di impegno per la politica, non solo per la prassi ma anche per la teoria politica. Chi ha creduto che Zolo abbia perso le sue battaglie sulla scienza politica, dovrà tuttavia ricredersi.
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