Visioni

Daniele Segre, narratore di realtà tra vite e lotte

Daniele Segre, narratore di realtà tra vite e lotteDaniele Segre – foto Ansa

Cinema Addio al filmmaker sguardo sensibile sul mondo, riferimento per i più giovani, indipendente come metodo

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 6 febbraio 2024

Che notizia triste: se ne è andato ieri, dopo una malattia rapida ma fatale, Daniele Segre, regista del «cinéma du reel» (lo dico in francese perché la traduzione italiana «documentarista» è riduttiva e anche sbagliata). Aveva un carattere così spigoloso – lo dico con molto affetto, perché per me Daniele è stato anche un grande amico, come è accaduto ai molti altri che, superati gli spigoli, approdavano poi alla dolcissima natura di Daniele, alla sua partecipazione emotiva, quella che gli ha dato la sensibilità di sentire i dolori e le gioie dell’altro, che lo ha reso capace di vivere nel rapporto con l’altro, mai chiuso nella riflessione su sé stesso. E infatti quella sua rigidità morale che ha sempre reso difficile la sua comunicazione mediatica, di cui sembrava non gli importasse niente, schivo come era, ha però forse reso più difficile quella che si chiama «pubblicità».

NE PARLO adesso perché credo non tutti si siano resi conto, come invece avrebbero dovuto, che Daniele è stato uno dei più importanti registi italiani. È stato, soprattutto, quello che ha saputo meglio raccontare una Italia che pochi vedono, e solo perché non guardano. A rileggere i titoli, tantissimi, dei suoi film, non si può far a meno di avere subito voglia di vederli o rivederli, perché lui ha guardato con acutezza proprio le tante cose che sono state quelle che hanno marcato la nostra vita, quella – da decenni ma fino all’oggi – di noi militanti della grande area della sinistra. Tutti gli eventi scottanti: penso al film che racconta la fine dell’«Unità»,un trauma per tanti (Via due Macelli, Italia – Sinistra senza Unità, 2000). E poi Sic Fiat Italia,i terribili giorni del gennaio del 2011, quando gli operai della più grande fabbrica italiana affrontano il ricattatorio referendum imposto da Marchionne: accettare di rinunciare a tutte le loro conquiste, pagate con asprissime lotte, oppure perdere il posto di lavoro. Vorrei che quella pellicola, che segue passo passo la vicenda alle porte di Mirafiori, fosse proiettato ovunque, adesso che si sta consumando l’ultimo capitolo della tristissima storia di una fabbrica-simbolo del successo italiano, ora, col nome Stellantis, diventata simbolo della vergogna del capitalismo.

Un film può cambiare le cose, ma dipende da chi sta dietro alla macchina, dalla sua consapevolezza, dalla capacità di resistere un minuto in piùDaniele Segre
DEL LAVORO, Morire di lavoro, come dice il titolo di uno dei suoi tantissimi lavori dedicati alla fatica operaia, con cui Daniele ci lascia la memoria di un pezzo essenziale della nostra storia. Ma anche, lasciatemi raccontare questa pagina più allegra, dell’impegno dei comunisti di Cavriago, provincia di Reggio Emilia, per costruirsi nell’immediato dopoguerra, da soli, coi mattoni ricavati dalla sabbia del fiume,la prima Casa del Popolo. La pellicola si chiama, in dialetto,Pareven Furmighi,e quegli edili improvvisati raccontano poi la gioia dei tanti film che hanno poi potuto vedere grazie a quella loro stessa fatica.

Vorrei ricordare poi qualche altra sua opera diversa ma altrettanto straordinaria: i film dedicati alla Juventus, la squadra del cuore non solo di Torino, raccontata già nel 1980, quando i suoi «ragazzi» erano anche loro sessantottini, ri-raccontata 40 anni dopo, quando i suoi tifosi sono diventati mostri pericolosi (Il potere deve essere bianconero,1978; Ragazzi di stadio, 1980; Ragazzi di stadio, quarant’anni dopo, 2018). Me ne è rimasta presente una immagine: di quando sul selciato davanti allo stadio hanno posto una bara finta che avrebbe dovuto racchiudere il cadavere di uno dei martiri della storica avversaria squadra torinese reduce di una vittoria non ricordo dove,il cui aereo precipitò per un guasto su Superga; e tutti morirono. E qui ci sono ora i ragazzi juventini che ridendo gli sputano sopra. Ricordo che dovevo presentare il film a Roma, nella sala che gestisce Agostino Ferrente vicino a Piazza Vittorio, e che quando arriviamo è già piena di ultrà juventini. Daniele mi dice: «Attenta, sono molto pericolosi». Che potevo fare se non parlare ugualmente? Il gruppo era capeggiato da un omaccione che alternava minacce e sfottò, una conclusione nella paura.

Mi viene voglia di continuare a parlare di tutta questa lunghissima serie di film, ma vi consiglio di trovare il modo di ottenere le copie di tutti dalla sua società di distribuzione I Cammelli che Daniele aveva creato a Torino nel 1981, a cui aveva fatto seguito l’omonima Scuola Video di Documentazione Sociale aperta nel 1987.

UN’ULTIMA informazione: nonostante fosse così scorbutico, come mi sono permessa di dire, Daniele è stato uno straordinario maestro di cinema. Lo so bene perché ha insegnato molti anni per tantissimi diversi centri, università compresa, a Pisa, negli stessi anni nei quali ho, proprio lì, insegnato anche io. Era rigoroso – i suoi studenti erano furiosi perché li convocava per le lezioni alle 8 del mattino – ma Daniele gli ha insegnato ad essere bravissimi, i loro lavori di laboratorio, quando negli ultimi anni ha insegnato alla sede del Centro sperimentale di cinematografia dell’Aquila, arrivati addirittura in TV. Non posso scordarmi di riferire che ha fatto anche un film che si chiama: Luciana Castellina, comunista.

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