Visioni

Dana Michel, la danza nei gesti quotidiani

Dana Michel, la danza nei gesti quotidianiDana Michel in "Mike"al Teatro di Documenti – foto di Claudia Pajewski

Palcoscenico Nell'ambito della rassegna Short Theatre, Mike, la performance del Leone d’argento per la danza canadese

Pubblicato 20 giorni faEdizione del 14 settembre 2024

Attraversare le geografie urbane con corpi posti al limite della rappresentazione, in una tensione che ri-significa il rituale performativo; dare spazio all’ascolto e alla dimensione acustica, in una ricerca che prende sul serio anche la musica: sono state le sfide di Short Theatre, che si conclude domani, nella sua ultima edizione diretta da Piersandra Di Matteo. Insieme ad un programma ricco e internazionale, è stata la socialità la forza della manifestazione, che si è fatta largo in ogni interstizio come una «porosità viscosa» – era lo slogan di quest’anno – possibilità importante in una città depauperata, dove incontrarsi è un’impresa.

C’ERA GRANDE ATTESA per Mike, la performance del Leone d’argento per la danza Dana Michel. Canadese di origini caraibiche, Michel ci ha abituati a radicali manipolazioni del tempo, e così è stato anche stavolta. Gli indizi, sparsi per il labirintico e affascinante Teatro di Documenti – progettato dallo scenografo Luciano Damiani negli anni ’80, ma con tracce di un passato più remoto – , fanno riferimento al mondo del lavoro. Michel attraversa gli spazi compiendo gesti quotidiani, lasciandosi influenzare dall’ambiente, con una presenza che non si lascia catturare – non si rivolge al pubblico, ma nemmeno lo ignora del tutto. Siamo noi, gli spettatori, a decidere fino a che punto farci coinvolgere, se «inseguire» Michel o se fermarci in punto e aspettare. Nel corso delle tre ore siamo liberi di decidere dove è lo «spettacolo», cosa lo rende tale, spostando l’asse dell’osservazione in un punto intermedio tra interno e esterno. Tornando ad una modalità frontale di fruizione, negli spazi della Pelanda, rimane nelle fibre il lavoro della coreografa greca Katerina Andreou. Bless This Mess è una celebrazione della vitalità, in cui la necessità del movimento sorge dalla musica, passando dalla furia barocca iniziale a suggestioni hip hop con la maestria di un ottimo djset. I quattro performer  – oltre ad Andreou, Lily Brieu Nguyen, Baptiste Cazaux, Mélissa Guex – hanno dato vita a un lavoro collettivo in cui nessuno emerge a scapito dell’altro, e dove le composizioni coreografiche fanno scorgere finalmente un orizzonte di liberazione: affermazione gioiosa, un nietzschiano dire di sì al caos che è un regalo per il pubblico.

UNA RIFLESSIONE teorica sul linguaggio della danza è contenuta invece in Monumentum DA di Cristina Kristal Rizzo e Diana Anselmo. La sordità di Anselmo diviene una chiave per accedere a mondi nuovi, per tutti e tutte. Il punto di partenza è l’aspetto coreografico insito nella lingua dei segni. Un’espressione del corpo – cos’altro è in fondo la danza? Per una volta siamo noi spettatori udenti a leggere una traduzione, che scorre nei sovratitoli, di un discorso che avviene in scena. Ed è sul concetto di traduzione che Monumentum DA si spinge lontano, affrontando la questione più complessa: la musica. Anselmo ci mostra come, a partire dall’osservazione dello spartito della Sagra della primavera, ha tradotto in Lis la composizione di Stravinskij. La osserviamo muoversi con e senza la musica, il risultato è clamoroso. «Ho imparato che tutto avviene nel corpo. La mente possiamo lasciarla andare dove vuole», afferma Anselmo. Il passaggio successivo è allora quello di creare un’immagine fisica del piano acustico, che arrivi al corpo senza necessità di suono: Cristina Rizzo e Diana Anselmo lo fanno, in sinergia, con Drumming di Steve Reich. Monumentum è forse un lavoro non perfetto nell’interazione delle performer, ma dimostra come la danza può essere all’avanguardia su un tema che riguarda la società intera.

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