Cultura

Dall’io all’«altro», corpi in divenire

Dall’io all’«altro», corpi in divenireAracne di Gustave Doré

Metamorfosi /4 Uomini insetto, bambini gatto, donne ragno: dai miti dell’antichità a Kafka. Mescolare sensazioni umane e bestiali con gli «attraversamenti di forma» è vitale, secondo Anne Simon, per nutrire il nostro immaginario e stravolgerlo, rinnovarlo

Pubblicato 3 mesi faEdizione del 17 agosto 2024

Quest’anno si celebra il centenario della morte di Franz Kafka e a Parigi fino al 5 dicembre si onora L’Année Kafka con l’ausilio di diverse iniziative. Il Goethe-Institut, insieme al Centre Tchèque e il Forum Culturel Autrichien hanno realizzato una programmazione che dedica una particolare attenzione ai formati creativi. In occasione dell’anniversario è stata pubblicata in Francia la traduzione del terzo e ultimo volume dell’eccellente biografia scritta dal tedesco Reiner Stach, in cui sono trattati gli anni della prima giovinezza di Kafka, alla vigilia della sua svolta creativa, quella che lo condurrà a scrivere i suoi primi racconti tra i quali spicca Le metamorfosi, del 1915.

MOLTEPLICI SONO state le interpretazioni e le riletture di questo celebre racconto, che vede il giovane Gregor Samsa risvegliarsi d’improvviso – una mattina – nel corpo di un enorme insetto. L’impossibilità di continuare con la vita che aveva condotto fino ad allora si rivelerà nella pesanteur di un corpo animale che il giovane uomo in un primo tempo faticherà a saper gestire e che poi, col passare dei giorni, imparerà a conoscere.
Di corpi in divenire, in mutazione, ci parla Françoise Frontisi Ducroux in L’homme-cerf, la femme araignée (Gallimard, 2003), squadernando con acume il repertorio mitologico occidentale. Sondando i luoghi dell’immaginario in cui risiede lo splendore dell’impaccio di figure ibride e polimorfe, l’ellenista francese ci svela la ricchezza immaginifica del politeismo. Allude continuamente alla possibile continuità tra gli esseri viventi: a dispetto di categorie che ci sembrano tanto consolidate, l’essere umano, in caso di scontro con il divino, poteva mutarsi infatti nell’animale, nel vegetale o anche nel minerale. E di sovente tale trasformazione esordiva con sgomento, quello sgomento che patisce anche Gregor Samsa quando tenta di alzarsi dal proprio letto e quasi si rassegna a quella che gli sembra diventata un’impresa impossibile.

Uomo-cervo, incisione di Martin Schongauer, v. 1485-1491

IMMAGINIAMO l’industriosa Aracne dopo la trasformazione voluta da Atena. La immaginiamo nel suo corpo di ragno tentare di destreggiarsi tra le tante zampe e patire, in termini d’impaccio, un disagio che riguarda un corpo nuovo, ibrido, ma con un sovrappiù di meraviglioso. Meravigliosi, col carattere mostruoso che definisce la meraviglia, sono i poteri delle dee e degli dei greci che hanno in dote la metamorfosi, cioè il potere di cambiare la forma di un essere. Essi lo usano per se stessi e nei confronti degli esseri umani che visitano o che, fortuitamente o volontariamente, entrano in contatto con loro.
Se le metamorfosi dell’umano restano pressoché irreversibili, Françoise Frontisi-Ducroux ci rivela anche una caratteristica meno nota delle metamorfosi che caratterizzano la mitologia greca, cioè il carattere ciclico delle metamorfosi delle divinità – in particolare quelle marine. Tali mutazioni, che avvengono per fasi, danno luogo a forme polimorfe, secondo lo scandire di transizioni mai definitive. L’arte figurativa greca ci mostra Atteone, valentissimo cacciatore, mentre attraversa questo stato ibrido: il cacciatore viene trasformato in cervo da Artemide, ora per averla sfidata nel tiro all’arco ora per averla sorpresa nuda, e viene sbranato dai suoi stessi fedeli cani da caccia.
Il rapporto tra la narrazione e l’immagine, tra la rappresentazione della bestialità e il divenire del corpo è la dialettica che ci conduce al romanzo di Marie Darrieussecq, autrice di Truismes (1996) tradotto da Francesco Bruno per Guanda nel 1999. Come Kafka Marie Darrieussecq sceglie la prima persona per descriverci i tormenti di una giovane donna in trasformazione. La protagonista, cacciata dalla casa di famiglia, trova lavoro in una profumeria dove è costretta a soddisfare le richieste sessuali dei clienti. La mutazione del suo corpo di umana in quello di una scrofa coincide con le scelte drastiche volute dai governanti della società narrata, volti a normalizzare le vite dei cittadini. Nel corso della sua trasformazione, la protagonista sembra anche sviluppare una visione del mondo più consapevole e nella sua metamorfosi fisica risiede anche il cambiamento dello stile narrativo del testo, che si raffina con il progredire del romanzo. La metamorfosi diventa quindi una modalità speciale di affermazione creativa del sé.
Se già nel romanzo breve di Marie Darrieussecq si percepiscono accenni di un antispecismo acerbo, in particolare negli accadimenti finali al mattatoio, è la lotta antispecista ad animare il romanzo di Camille Brunel, autore di Les Métamorphoses (Alma, 2020). Lo scrittore francese apparecchia con dovizia gli elementi del genere distopico, raccontandoci di un virus capace di trasformare repentinamente gli esseri umani in animali. E tra gli esseri umani ad ammalarsi sono soprattutto gli uomini. Isis, la protagonista, osserva il mondo che conosceva popolarsi di creature mai viste, che sostituiscono con i loro corpi multiformi quelli degli esseri umani, affetti da una nuova malattia: la teratomorfosi fulminante. Tramite il delirio ansiogeno che provoca il non potersi più riconoscere in quello che si era e che stiamo diventando, Camille Brunel, scrittore e ardente difensore della causa antispecista, riesce nel tentativo di raccontarci una storia in cui le metamorfosi aiutano «per immedesimazione» il processo di comprensione dell’animalità.

AGLI ANIMALI UMANI e non umani e al loro rapporto con i testi letterari ci introduce Anne Simon, nel suo sapiente Une bête entre les lignes. Essai de zoopoétique (Wildproject, 2021), non ancora tradotto in italiano. La seconda parte del libro, in particolare, parla di metamorfosi. La studiosa ci mostra come la letteratura sia ricca di metamorfosi umano-animale ma anche di accenni allo sguardo che questi ultimi portano su di noi, a partire dall’Animal que donc je suis di Jacques Derrida (Galilée, 2006; uscito in italiano lo stesso anno per Jaca Book. nella traduzione di Massimo Zannini, con prefazione di Marie-Louise Mallet e introduzione di Gianfranco Dalmasso). Nell’incipit del suo libro Derrida si racconta: è nudo e vede il suo gatto che lo guarda. Ma chi è l’animale che ci guarda, si chiede. È l’altro, si risponde, aprendo un’interrogazione a proposito dell’alterità. Pensare, ci dice, forse comincia proprio dall’incontro con l’altro: «L’animale ci guarda e noi siamo nudi davanti a lui. E pensare comincia forse proprio da qui. Cosa comincia? Comincia il senso dell’alterità, noi siamo altro dall’animale, ma altro da come noi stessi ci siamo ridotti. Ridotti ad esigenze, bisogni, prospettive piccole, meschine, carrieriste, violente nella loro piccolezza, egoiste. L’animale, la sua diversità ci obbliga a ricominciare a essere esseri uomini».

ANNE SIMON PASSA dal pensiero filosofico di Derrida alla narrativa, parlandoci ancora di un felino, quello narrato ne L’Enfant chat (Grasset & Fasquelle) da Béatrice Beck, scrittrice belga che in un racconto del 1984 ci affabula con la storia di un bambino-gatto, con caratteristiche bestiali e umane. E poi ancora dell’allucinatorio Le Pays sous l’écorce di Jacques Lacarrière, un viaggio nel mondo delle sensazioni animali. Mescolare sensazioni umane ed animali grazie alle metamorfosi, gli «attraversamenti di forma» è vitale, secondo Anne Simon, per nutrire il nostro immaginario e stravolgerlo, rinnovarlo.
Ma in che senso? Quelle scrittrici e quegli scrittori che provano a sbarazzarsi dei concetti e degli «strati di parola» che rivestono gli animali deviano gli apriori del linguaggio che li riguardano e che ci riguardano, liberando il nostro immaginario, il nostro sguardo sul mondo e su quello che esso potrebbe diventare. Si lanciano all’avanguardia di un rinnovamento etico poiché, come osserva Anne Simon «la scelta stessa di descrivere questo o quell’animale, in questo o quel modo, è politica».

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