Dalle tombe di Staglieno, un ritratto antifascista
NARRAZIONI Giordano Bruschi e Giuseppe Morabito firmano «Una spoon river partigiana»
NARRAZIONI Giordano Bruschi e Giuseppe Morabito firmano «Una spoon river partigiana»
Nel vortice revisionistico che ha investito il dibattito sulla resistenza negli ultimi anni, spesso anche la memorialistica sul tema ha faticato a trovare il suo spazio e il suo ruolo nell’ambito di quella conoscenza della storia che dovrebbe rimanere alla base di qualsiasi valutazione di giudizio. Sicuramente un suo spazio se lo guadagna il recente volumetto Una spoon river partigiana (Il Canneto editore, pp. 174, euro 13), a cura di Giordano Bruschi e Giuseppe Morabito, non solo per l’idea creativa di dare voce ai partigiani sepolti nel cimitero genovese di Staglieno, sull’orma degli epitaffi in prima persona della ben nota antologia, ma per l’intero quadro storico che viene ricostruito attraverso le 51 biografie raccontate in questa modalità. Tra esse, quella di Ferruccio Parri, primo Presidente del Consiglio dell’Italia liberata e quella di Amino Pizzorno, zio della neopresidente dell’Anpi, Carla Nespoli. Le loro storie intrattengono con chi legge un dialogo diretto che le fa sembrare ancora vive, connesse una con l’altra. Ognuno non parla mai solo di se stesso, ma anche dei propri compagni di lotta che spesso sono anche dei vicini di tomba.
A LEGARE TRA LORO queste storie non sono solo gli avvenimenti della guerra partigiana combattuta tra il 1943 e il 1945, alla quale la città di Genova contribuì con più di 2000 partigiani caduti, ma sono le esperienze politiche e sindacali vissute dai protagonisti prima della clandestinità, la cui ricostruzione fatta nei racconti è di grande interesse. Quello che prende forma è il ritratto della Genova industriale della prima metà del ‘900, della combattività del proletariato formatosi in quel contesto, del senso di identità acquisito nella condizione lavorativa e a quello di comunità cresciuto nel contesto dei quartieri operai e popolari, a cominciare da quelli della val Bisagno genovese. Un quadro che consentirà la formazione di una rete di militanti antifascisti già prima dell’armistizio, come emerse con chiarezza in occasione degli scioperi del 26 luglio ‘43.
Le brevi biografie uniscono tra loro date e luoghi dei combattimenti con notizie sulle storie di militanza politica e sindacale, e sulle vicende di vita personale, aprendo visuali inattese sui percorsi e le scelte che condussero alla lotta partigiana.
COLPISCE in questo senso che in ognuno di questi racconti raramente manchi un riferimento a letture, incontri, esperienze di studio, anche da parte da chi proviene da condizioni di grande disagio sociale, a sottolineare come la storia del movimento operaio sia stata davvero intrecciata con una storia di emancipazione culturale delle persone. L’immagine che dunque emerge da queste memorie partigiane, è quella di un evento cruciale di cambiamento del corso della storia che ebbe luogo grazie a una sua preparazione e incubazione sia politica che culturale, non riducibile alle condizioni determinatesi dopo l’8 settembre.
LE 51 BIOGRAFIE sono scritte da Giordano Bruschi, figura storica della resistenza genovese e della storia politica della città dopo la liberazione. Giuseppe Morabito ha redatto altre 87 schede di altrettanti antifascisti sepolti nel campo partigiano di Staglieno. In questo libro, i partigiani di Staglieno ci vengono incontro guardandoci negli occhi. Ci parlano fuori dai rituali e dalle retoriche e sembrano volerci indicare una strada per un nuovo cambiamento, divenuto oggi quanto mai necessario. Ma sembrano anche volerci indicare un rapporto con la storia che non crede a un corso naturale degli eventi, bensì a un suo possibile punto di rottura nel quale l’atto cosciente di rivolta di uomini e donne può assumere un ruolo dirimente.
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