Dalle elezioni alle armi, destra a tavola divisa su tutto
«Tutto bene» assicura Salvini a vertice appena concluso e il commento automatico non può che essere «figurarsi se andava male». Perché tra la dichiarazione di FdI, dal quale trapela insoddisfazione palese, e la replica delle fonti di Fi, «sorprese e irritate», il vertice sembra piuttosto la conferma di una divaricazione insanabile. I tre leader del centrodestra si incontrano per la prima volta da mesi ad Arcore, con scorta per una volta limitata: La Russa con sorella Giorgia e Calderoli con Salvini. Pranzano, affrontano i nodi, scoprono di non essere in grado di scioglierli. I leghisti lasciano la villa per primi, il Cavaliere e la leader di FdI ci provano da soli per un’altra oretta. L’esito non cambia.
IL PRIMO SCOGLIO SI chiama Musumeci. FdI martella per la sua ricandidatura a presidente della Sicilia, il leader azzurro dà il via libera, Salvini si mette di mezzo e chiede di rinviare la scelta, mandando su tutte le furie Meloni. Il governatore uscente, per la Lega, è oggi privo di consenso: «I dubbi li hanno i siciliani, non Salvini», chiosa il coordinatore della Lega in Sicilia Minardo. Il capo leghista e il Cavaliere assicurano che bloccheranno il proporzionale ma a Meloni non basta. Dopo l’esperienza di questa legislatura è chiaro che a urne chiuse i singoli partiti fanno quel che vogliono. Ci vuole una garanzia, un documento firmato con tutta la solennità del caso col quale Berlusconi e Salvini s’impegnano a non allearsi in nessun caso con il Pd e i 5S. Qui però i pollici versi sono due: né il Cavaliere né il Capitano intendono legarsi le mani più che tanto. Senza contare quelle 5 città capoluogo su 26, poche ma «purtroppo importanti» come segnalerà la nota al vetriolo dei Fratelli, nelle quali il centrodestra arriverà diviso al primo turno: Catanzaro, Messina, Parma, Verona, Vicenza.
DI FRONTE AL CANCELLO della villa Berlusconi glissa sui dissensi ma che le cose non siano andate come da rosei racconti lo si capisce quando il leader azzurro rispolvera i Club della Libertà e il programma del 2018 da rivedere giusto un po’, come se nel frattempo nel mondo e anche in Italia non fosse cambiato tutto. Anche le parole che adopera Berlusconi sono eloquenti: «Solo un pazzo potrebbe mandare all’aria questa coalizione. Se si disunisse perderemmo le elezioni». Come mastice non è precisamente il massimo. Lo dimostra a stretto giro la nota di FdI che «sorprende e irrita» Berlusconi. Giorgia non la manda a dire: «L’unità non basta declamarla. Bisogna costruirla nei fatti». Segue il cahier de doléances: le 5 città nelle quali la destra si fronteggerà, il caso Musumeci ma anche, forse soprattutto, la diffidenza profondissima sulle reali intenzioni degli alleati: «Restano fumose le regole d’ingaggio sulle modalità con cui formare liste e programmi comuni». FdI non si alleerà mai con Pd o M5S: «Confida nella stessa chiarezza da parte degli alleati». Ma la firma richiesta per un impegno ufficiale «gli alleati» non la concederanno.
FORSE NON È TUTTO QUI. Sul vertice pesa infatti il clamore suscitato dalle dichiarazioni a sorpresa di Berlusconi, quell’attacco violentissimo rivolto a Stoltenberg e a Biden per le loro dichiarazioni, «con queste premesse il signor Putin è lontano dal sedersi a un tavolo», e la presa di posizione contro l’invio delle armi all’Ucraina. Alla vigilia del vertice, preso di mira da raffiche di critiche durissime soprattutto da parte del Pd, il Cavaliere fa chiarire all’ufficio stampa la sua posizione: «Nessuna giustificazione per Putin: l’invasione è inaccettabile e sta provocando troppe vittime». Agli ospiti che chiedono delucidazioni, nel pranzo di Arcore, il padrone di casa conferma quanto dettato al suo ufficio stampa: né dubbi sullo schieramento atlantista né vicinanza a Putin, solo una spinta alla trattativa per arrivare il prima possibile a una soluzione diplomatica. Salvini è sulla stessa lunghezza d’onda. Meloni no, casomai l’assonanza piena in questo caso è con Enrico Letta. Sulle armi non di discute: vanno inviate senza sottilizzare tra leggere e pesanti. Più divisa di così la destra non potrebbe essere. Alle elezioni andrà comunque unita ma per scommettere sulla tenuta dell’alleanza dopo il voto bisogna avere il gusto dell’azzardo.
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