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Dall’«agliata» marinara all’attuale pesto. Storia di uno dei cibi italiani più popolar

Dall’«agliata» marinara all’attuale pesto. Storia di uno dei cibi italiani più popolarGenova, il campionato mondiale di pesto al mortaio – Piero Papa

Il campionato Dall’«agliata» marinara all’attuale pesto. Storia di uno dei cibi italiani più popolari

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 17 maggio 2018

È il salone del Maggior Consiglio del Palazzo Ducale di Genova il luogo dove, per secoli, si sono riuniti i nobili della città per discutere sulle importanti decisioni riguardanti l’antica repubblica marinara. Ed è nella stessa sala che ogni due anni, dal 2007, si svolge il Campionato Mondiale del Pesto al mortaio, dove cento concorrenti provenienti da tutto il mondo si sfidano nella sua realizzazione. Il pesto è la seconda salsa più conosciuta al mondo dopo quella al pomodoro, e vanta pessime imitazioni in ogni angolo del globo: «Cómme se abbâstasse solo pestâ, pe fâ ’n pö de pésto», si commenta a denti stretti a Genova.Il vero pesto è genovese, come lo era l’antica repubblica, e può essere realizzato solo con il profumato basilico coltivato in quella sottile fascia di terra ligure perennemente in bilico tra mare e Appennino. La storia di questa salsa, preparata solo con ingredienti crudi è molto antica, e trova origine dallo strumento che tutt’ora tradizionalmente alcuni continuano ad usare – il mortaio.

È in questo contenitore che sono stati preparati molti alimenti consumati dalla civiltà umana – con il battere di un pestello in pietra o legno il cibo veniva frantumato per un consumo immediato o per la successiva cottura. Una delle preparazioni più comuni realizzate dai marinai delle galee della «Superba Repubblica» era la semplice «agliata». In un mortaio, insieme a olio e sale, si schiacciavano solo teste d’aglio, utilizzate dagli equipaggi marittimi in grandi quantità anche per la loro riconosciuta proprietà antisettica. La salsa ottenuta era utilizzata da accompagnamento al pane, o quando disponibile, alla pasta. Da questa base la ricetta è successivamente «ingentilita» con erbe aromatiche come timo, salvia e basilico, e con l’aggiunta di materia grassa: noci, pinoli e formaggio. Il primo scritto di cucina in cui è riportata una ricetta di pesto al basilico risale alla Cuciniera genovese di Giobatta Ratto nel 1863. Dopo di allora «O pésto de baxeicò» è diventata una ricetta imprescindibile da ogni tavola genovese che si rispetti, con tutte le sue varianti di quartiere, ma sempre nel rispetto di tradizione e ingredienti.

Per tutelare la ricetta originale e l’antico metodo di realizzazione l’associazione culturale Palatifini (www.pestochampionship.it) organizza ogni due anni il Campionato mondiale di pesto con il mortaio, che quest’anno ha raggiunto la VII edizione. Roberto Panizza è il patron della Palatifini, e da un decennio gira il mondo a preparare pesto con un antico mortaio in marmo di 42 kg e l’enorme pestello in legno di pero. È così che esporta la sua conoscenza e passione per questa antica ricetta, e organizza dei contest locali per selezionare i partecipanti alla finalissima nel Palazzo Ducale di Genova. Lo incontro nella sua osteria, che non poteva non chiamarsi Il Genovese, ma ci tiene a vantare il suo passato nella antica drogheria di famiglia. «Ho sempre lavorato tra essenze naturali e spezie profumate, e la mia particolare ossessione era quella di miscelare ingredienti mantenendone un giusto rapporto tra i sapori. Il vero pesto genovese è essenzialmente questo: equilibrio e armonia tra i sette ingredienti utilizzati». Si inizia con il pestare nel mortaio pinoli italiani e un paio di spicchi di aglio del ponente ligure di Vessalico. Appena ottenuta una pasta bianca e omogenea si aggiungono le foglie di un mazzetto di basilico genovese Dop, con un pizzico di sale di Trapani. Il movimento del pestello sarà adesso solo rotativo, in modo da sminuzzare delicatamente le foglie e farne uscire i profumati oli essenziali. Quando il prodotto avrà raggiunto la consistenza di una crema verde brillante, si unirà Parmigiano Reggiano Dop, pecorino Fiore Sardo Dop, e olio della riviera ligure ad amalgamare il tutto. «Solo alla fine si riesce a capire se il pesto è ben riuscito. Ogni ingrediente deve arrivare delicatamente al palato e il sapore finale è sempre una piacevole sorpresa», afferma Panizza, che aggiunge, «l’amore per la nostra terra lo esprimiamo silenziosamente in questa lavorazione al mortaio. Più c’è passione e più la nostra salsa sarà unica, profumata e identitaria del territorio ligure». La Regione Liguria, la Camera di Commercio, l’Università di Genova e molte altre istituzioni culturali italiane ed estere, nel marzo 2018, hanno iniziato l’iter presso l’Unesco per candidare la tecnica di lavorazione del Pesto genovese al mortaio quale bene immateriale dell’umanità.

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