Visioni

Dall’Africa all’Europa, favole nere dalle mille e una notte

Una scena da "L'ultimo viaggio di Sinbad" di Silvia ColasantiUna scena da "L'ultimo viaggio di Sinbad" di Silvia Colasanti – Fabrizio Sansoni /Opera di Roma

A teatro In scena per Romaeuropa Festival «L’ultimo viaggio di Sindbad» di Silvia Colasanti

Pubblicato circa 16 ore faEdizione del 19 ottobre 2024

In collaborazione con Romaeuropa Festival il Teatro dell’Opera di Roma mette in scena un’opera nuova: L’ultimo viaggio di Sindbad, di Silvia Colasanti, libretto di Fabrizio Sinisi, ispirandosi «liberamente a testi di Erri De Luca». Non si può che essere lieti che un teatro d’opera, oggi, faccia ciò che fino a poco meno di un secolo fa facevano tutti teatri d’opera del mondo: mettere in scena opere nuove ad ogni stagione.

Sindbad è il personaggio di una fiaba delle Mille e una notte, che compie sette viaggi per mare affrontando avventure piene di meraviglie. Rimskij-Korsakov ne fece il soggetto di una famosissima suite sinfonica, Sherazade, divenuta anche balletto. Nell’opera di Silvia Colasanti è uno scafista che trasporta emigranti dall’Africa all’Europa. Sette quadri, come i sette viaggi della fiaba.

UN PERSONAGGIO che all’inizio appare burbero, crudele, ma che alla fine rivela una ferita interiore insanabile, la perdita di un figlio. Ogni quadro ha un titolo: La Notte, Le Sorelle, La tempesta, Nostalgie, La Madre, Memoria, La Costa. C’è un prologo, Fine della terra, e un epilogo, Radici.

Dai titoli stessi si può già percepire il senso insieme simbolico e ideologico dell’opera. Ma il punto debole è proprio il libretto di Fabrizio Sinisi: non si vede una vera drammaturgia e le idee, le azioni sono più dette che rappresentate.

Nei sette quadri dell’opera il protagonista è uno scafista che trasporta migranti

PER DI PIÙ con un linguaggio apodittico, esplicativo che è quanto di meno poetico si possa immaginare. «L’Europa sembra / la giungla o il mare. / Piena di sogni / belli e feroci. / Regna una legge / senza perdono», dice Sindbad. La musica tenta invece vie nuove, che non sono né una ripetizione di formule delle avanguardie concluse, né la restaurazione di sistemi esauritisi. Guarda anche indietro, certo, ma facendo tesoro del lavoro disgregante delle avanguardie, e si avventura a cercare un nuovo sistema di declinare musicalmente il teatro, che non sia né corriva semplicità né astrusa complicazione.

Non sempre ci riesce. C’è lo sforzo di reinventare una forma di recitazione musicale che non sia il tradizionale recitativo ma se mai qualcosa che reinventi il recitar cantando. E c’è il piacere di riabbandonarsi al gusto della melodia, del canto.

Culmine di questo abbandono è la ninna nanna del quinto quadro che una madre canta al suo bambino nato morto. Un campo armonico che è e non è la minore. Il direttore Enrico Pagano legge con intelligenza questo progetto di nuova scrittura melodrammatica e segue attento il canto di ogni personaggio, la voce di ogni strumento.

Luca Micheletti, il regista, rende bene il senso claustrofobico della vicenda, l’interno di una nave (scena di Leila Fteita) ossessivamente chiuso e cupo. Gli interpreti andrebbero lodati tutti, ma non si può dimenticare la sobrietà di Roberto Frontali nella parte di Sindbad, l’intensità di Daniela Cappello in quello della Madre, e le due Sorelle Elisa Balbo e Alice Rossi. Assai belli i costumi di Anna Biagiotti.

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