Miles Parks McCollum – in arte Lil Yachty – all’interno del contesto trap è un esempio contemporaneamente anomalo ma anche incredibilmente significativo per capirne la diffusione, lastagnazione, il declino e il cannibalismo che ha subito dalla musica di massa dal 2016 in poi. Differente perché, rispetto a molti colleghi, il suo è sempre stato un approccio a quei suoni e quel modo di rappare (con le terzine e una buona dose di autotune) più frivolo, leggero e divertito. Significativo perché rappresenta in modo esemplare quel che si è sbagliato con il genere: ripetitività di suoni e concetti, poca consistenza nelle pubblicazioni raccolte al di fuori di quei singoli più prominenti ma anche una discreta cura per la ricerca.

Un lavoro in cui il nostro non è solo esecutore di produzioni altrui, ma orchestratore che si avvale di maestranze utili a incanalare la sua visione per concretizzare questo nuovo inizio.

INSOMMA: uno dei tanti ossimori che hanno portato il genere a doversi mettere di fronte a se stesso e ragionare sulla strada da prendere. Per McCollum questa strada non è una di quelle totalmente inedite per il genere, anzi. Perché tanti altri personaggi del rap durante tutta la sua storia hanno voluto ibridare la musica urban con il rock, compresi anche contemporanei della trap e affini con risultati per lo più disastrosi – Machine Gun Kelly e la sua pessima conversione pop punk su tutti – ma anche qualche perla di culto underground come Volcanic Bird… di Lil Ugly Mane. Ed è proprio in questo contesto, quello del passaggio dai suoni Southern Hip-Hop alla psichedelia, che si inserisce Let’s Start Here: un disco che già dal suo titolo fa intuire il bisogno di guardarsi allo specchio, valutare quel che si è fatto e ragionare una nuova strada più ponderata e meno affrettata. Il disco infatti vede Lil Yachty abbandonare quasi completamente le sonorità a cui ci aveva abituato, appoggiandosi invece su arrangiamenti e composizioni che richiamano i Pink Floyd (che nell’anno delle celebrazioni per i cinquant’anni di The Dark Side Of The Moon non è una cattiva idea) e Tame Impala.

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GRAZIE alla collaborazione di nomi importanti per il rock alternativo (Unknown Mortal Orchestra, Alex G, Chairlift) la voce effettata del rapper si scompone in derivazioni quasi totalmente svuotate dalla trap che si avvicinano più a un soul psichedelico del futuro che si libra tra Childish Gambino, Tyler, The Creator, Yves Tumor e Travis Scott e di quest’ultimo forse diventa un’evoluzione ormai totalmente libera dalle gabbie di origine.
Un lavoro in cui il nostro non è solo esecutore di produzioni altrui – Yachty infatti per anni ha creato beats per altri rapper – ma orchestratore che si avvale di maestranze utili a incanalare la sua visione per concretizzare questo nuovo inizio. Un nuovo capitolo che probabilmente servirà non solo a lui ma in generale a una scena che ha bisogno di ritrovarsi e ricominciare.