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Dalla macchina «ammazza-cattivi» al malocchio di Svevo

Dalla macchina «ammazza-cattivi» al malocchio di Svevo

Frammenti Andiamoci piano con il nostro desiderio di far giustizia dei «cattivi»: è un desiderio comprensibile ma molto pericoloso, ché si sa di dove si comincia ma poi diventa impossibile fermarsi

Pubblicato 5 mesi faEdizione del 22 giugno 2024

Nel 1948, dopo aver girato alcuni capolavori del neorealismo Roberto Rossellini si concesse una vacanza dalle parti di Maiori, su quella meravigliosa Costiera amalfitana dove aveva girato poco tempo prima un episodio del film Amore con Anna Magnani (nel ruolo di una pazza messa incinta da un vagabondo che crede di essere San Giuseppe, impersonato da un Fellini occasionalmente attore) e, se la memoria non mi inganna, ancor prima l’episodio iniziale di Paisà.

Irrequieto cercatore del nuovo, Rossellini aveva diretto da poco dei capolavori come Germania anno zero, Stromboli, Francesco giullare di Dio ed Europa ’51, e girò questo film con attori napoletani poco noti, partendo da un soggettino scritto dal suo amico Eduardo De Filippo, che narrava di un farfariello (secondo la popolare credenza napoletana, è un genietto casalingo dispettoso, contrariamente al monaciello, che è invece di aiuto agli abitanti…) che fa avere a un fotografo di paese una macchina fotografica che ammazza i cattivi che gli capita di riprendere. La macchina ammazzacattivi è il titolo di un film dimenticato e trasandato dove la macchina del titolo, nelle mani di quel fotografo, lascia dei vuoti nelle foto di gruppo una volta stampate, che concernono individui ( cattivi) dei quali si viene ben presto a sapere che sono incidentalmente morti dopo lo scatto.

Eduardo De Filippo non pensava, come molte sue commedie dimostrano, che «l’uomo è buono» (e mi viene alla mente l’asciutta stroncatura scritta da Brecht sul romanzo di Leonhard Frank ambientato al fronte, nella prima guerra mondiale, che Frank aveva intitolato L’uomo è buono, nonostante tutto: «Anche il vitello»…). Quel tanto di misantropia che Eduardo si portava dietro si fa qui radicale, ma purtroppo il film non venne granché e fu visto da pochi, anzi da pochissimi. Ma è pur sempre un film di Rossellini e di Eduardo! E nelle loro intenzioni e nella regia di Rossellini si ispirava alla commedia dell’arte…

Siamo forse in tanti, credo, che apprezzeremmo una macchina fotografica come quella di quei due compari. E mi viene in mente un altro racconto di qualche anno prima, stavolta del nordico Italo Svevo. Un tranquillo borghese scopre di avere il potere di fare il malocchio, e prende gusto a esercitarsi a danno di persone che non ama, per esempio tutto un dirigibile con i suoi viaggiatori che sorvola il cielo di Trieste e che lui fa precipitare in fiamme nel mare, davanti alla grande piazza cittadina… Esulta, il nostro borghese, ma poi si accorge che il malocchio gli scatta anche quando si irrita con i suoi cari, ed è causa della morte della madre… Piano dunque con il nostro desiderio di far giustizia dei «cattivi»: è un desiderio comprensibile ma molto pericoloso, ché si sa di dove si comincia ma poi diventa impossibile fermarsi.

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