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Dalla Gran Bretagna a Napoli, le varianti non sono tutte uguali

Dalla Gran Bretagna a Napoli, le varianti non sono tutte ugualiL’asilo Munari di Ospiate, frazione di Bollate, chiusa a causa di un focolaio della variante inglese – Ansa

Covid-19 Zone rosse mirate e sei regioni a rischio. Potrebbe cambiare la durata della quarantena. La mutazione più diffusa viene dall’Inghilterra, ma le altre sfuggono ai vaccini. Dunque serve una campagna più spedita. Parere dell’Aifa: innalzato a 65 anni il limite di età per il vaccino AstraZeneca

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 18 febbraio 2021

I 12 mila casi positivi di ieri sono perfettamente in linea con la media rilevata nelle ultime due settimane. Ma dalla comunità scientifica giungono segnali di allarme. Secondo i dati consegnati ieri dalle Regioni alla cabina di regia, l’indice di trasmissione Rt è tornato vicino a 1 o poco sopra in Lazio, Marche, Friuli-Venezia Giulia, Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna. Queste sei regioni rischiano di finire da domenica in zona arancione. In alcune aree limitate le restrizioni sono già iniziate: da ieri alle 18 sono in zona rossa Bollate (Milano), Castrezzato (Brescia), Mede (Pavia) e Viggiù (Varese), dove scuole e negozi rimarranno chiusi fino al 24 febbraio. Per ora: secondo Francesco Vassallo, sindaco di Bollate (37 mila abitanti a un quarto d’ora da Milano), una settimana non basterà. «Lunedì o martedì valuteremo la situazione e la Regione deciderà se prorogare la zona rossa». Rossa anche la provincia di Ancona nelle Marche, e di Chieti e Pescara in Abruzzo, la provincia di Perugia e sei comuni del ternano, 28 comuni del basso Molise più il comune di Roccagorga, tra Frosinone e Latina.

IN MOLTI CASI, a spaventare gli amministratori locali sono le varianti del coronavirus. Oltre il 65% dei casi del pescarese, per esempio, sono riconducibili alla variante B.1.1.7, quella che molti si ostinano a chiamare “inglese” anche se agli scienziati non piace per l’inevitabile stigma geografico. Anche le varianti B.1.351 (maggiormente diffusa in Sudafrica) e P1-P2 (dominanti in alcune aree del Brasile) sono presenti in questi territori, anche se in misura minore. Secondo gli scienziati, la variante B.1.1.7 è ormai destinata a diffondersi, mentre circoscrivere le altre attraverso zone rosse mirate è ancora possibile.

OGNI GIORNO, POI, nuove varianti si aggiungono all’elenco. Ma non è una vera notizia: i virus a Rna (come il coronavirus) mutano continuamente la loro sequenza di circa trentamila “basi” identificate con le lettere ACTG. Basta “sequenziare” il virus individuato in una persona contagiata per individuare diverse basi modificate o cancellate rispetto alla versione “originale”, quella di Wuhan. Questo non basta a farne una variante che merita attenzione. Infatti, la selezione naturale (i virus competono per la sopravvivenza come qualunque altra specie vivente) toglie di circolazione quelle meno contagiose nel giro di poco tempo. Per esempio, finché non saremo in grado di misurarne la velocità di propagazione non sapremo se la variante “napoletana”, di cui si parla da qualche giorno, sia davvero più contagiosa. La sensazione di un’invasione barbarica di varianti potrebbe essere l’ennesima esagerazione mediatica.

SULLA RAPIDA DIFFUSIONE della variante B.1.1.7 però ci sono pochi dubbi. Nel Regno Unito, dove circola da settembre dell’anno scorso, è ormai largamente dominante. In Danimarca, l’unico altro paese europeo con un programma di sorveglianza genomica, rappresenta la metà dei ceppi in circolazione. Qui da noi, secondo l’“indagine rapida” svolta il 4 e 5 febbraio dall’Iss, rappresenta un sesto dei coronavirus. Entro il 25 febbraio, le regioni dovranno fornire i dati per una seconda indagine, e a quel punto conosceremo la velocità di diffusione della variante. «Dai dati preliminari, pubblicati finora sembra che la replicazione della variante sia molto più rapida rispetto al virus originale», spiega al manifesto Marco Gerdol, genetista all’università di Trieste. «La variante potrebbe essere più contagiosa perché genera una maggiore carica virale nella persona infetta».

Questo potrebbe provocare un’infezione di durata maggiore, come mostra uno studio pubblicato ieri dall’università di Harvard, un altro fattore che aumenta la probabilità di passare il virus. Non è escluso che il dato porti a rivedere le norme sulla durata della quarantena. La variante B.1.1.7, però, da un altro punto di vista ha un vantaggio: i vaccini a nostra disposizione, quelli prodotti da Pfizer, Moderna e AstraZeneca, sono efficaci contro questa variante, mentre gli stessi vaccini, con altre varianti, hanno mostrato un’azione limitata. Dunque, il vero argine dovrebbe arrivare da vaccinazioni più spedite. Proprio ieri, l’Aifa ha dato il definitivo parere positivo alla somministrazione del vaccino AstraZeneca fino ai 65 anni di età, e non a 55 come stabilito in precedenza.

«LE ALTRE VARIANTI, come quella sudafricana o brasiliana, hanno dimostrato di saper sfuggire agli anticorpi, compresi quelli generati con la vaccinazione» prosegue Gerdol. «Questo non le rende di per sé più contagiose, ma potrebbe spiegare come mai si siano diffuse in luoghi in cui ci sono moltissime persone già immunizzate dal virus nella variante originale». A Manaus, in Brasile, la prima ondata aveva infettato circa il 70% della popolazione, e questo non ha impedito che si verificasse una seconda ondata altrettanto virulenta. In luoghi come l’Europa, però, dove il numero di persone suscettibili è ancora molto elevato, la stessa variante potrebbe non risultare altrettanto contagiosa.

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