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Dalla Corea al Kentucky, un amaro ritorno

Dalla Corea al Kentucky, un amaro ritornoCorea, agosto 1950, una colonna di soldati americani incrocia alcuni sfollati in fuga

Narrativa americana Metà anni ’50, un reduce dal fronte del 38° parallelo, vive i primi giorni del suo rimpatrio nascosto nei boschi dove rinnova i riti di un’esistenza arcaica: «Country dark», minimum fax

Pubblicato circa 6 anni faEdizione del 22 luglio 2018

La guerra di Corea fu il colpo di coda del secondo conflitto mondiale e il preludio alla tragedia del Vietnam: viene spesso ricordata come la guerra dimenticata perché non ricevette la stessa copertura mediatica e, nella cultura popolare, è entrata soltanto tramite l’immagine farsesca elaborata da Robert Altman nel film M*A*S*H e, soprattutto, con la fortunata serie televisiva che ne derivò. Fu una delle più cruente del XX secolo con un totale di quasi cinque milioni di vittime fra morti, feriti e dispersi, di cui oltre la metà erano civili. Proprio questa guerra fa da sfondo al nuovo romanzo dello scrittore del Kentucky Chris Offutt, Country Dark, che minimum fax propone nella traduzione di Roberto Serrai (pp. 235, € 18,00) dopo il successo della raccolta di racconti Nelle terre di nessuno, con cui l’autore esordì nel 1992.
Il sapore metallico della guerra è evocato magistralmente nelle prime pagine del libro in cui vediamo un piccolo soldato di nome Tucker riemergere dall’inferno coreano in una mattina di primavera del 1954 sul confine fra Ohio e Kentucky. Sta per mettere piede sulla terra «di cui aveva disperatamente sentito la mancanza» quando era impegnato a combattere su un altro confine, quello fra il nord e il sud della Corea all’altezza del 38° parallelo.

L’incipit lo coglie mentre esce dalla nebbia che si alza da terra e entra nella luce violenta del giorno: un grande ingresso, di portata epica oltre che cinematografica, per il protagonista sulle cui gesta Offutt punterà la luce del suo obiettivo senza mai abbandonare la presa, in uno stile essenziale e diretto. Il tema del ritorno entra subito in relazione con la grandiosità e la bellezza di una natura selvaggia e arcaica, in quella terra di nessuno i cui pochi abitanti vivono isolati, in miseria, in perenne lotta contro ogni avversità.

Tre incontri emblematici
La prima persona che Tucker incontra, il contadino con un carico di legna e una famiglia che è l’immagine stessa della povertà di quella terra desolata da cui ha cercato di fuggire, ne è il prototipo. Poi si imbatte in un reduce della seconda guerra mondiale che gli dà un passaggio e per novanta miglia non apre bocca; in compenso sputa sulla strada che Tucker sta percorrendo a ritroso quasi per avvertirlo che il reduce non ritorna da eroe e la guerra non finisce al fronte. Glielo ricorda anche la violenza sguaiata del terzo uomo che incrocia, il quale per divertimento lo costringe a bere alcol sotto la minaccia della sua pistola.
In guerra Tucker era diventato il migliore, aveva imparato a uccidere e rischiato la morte. Se era sopravvissuto era solo perché più astuto degli altri, «il più svelto a sparare» e il primo a colpire nel corpo a corpo. Tucker è dunque anche il protagonista di un genere, il western contemporaneo, che la narrativa e il cinema statunitensi hanno continuato a riscrivere adattando il modello classico a nuovi contesti; è un moderno pistolero che sa come la vita dipenda dall’abilità nel maneggiare le armi piuttosto che dalla legge. Con la mano sempre pronta a scattare, vive i primi giorni del suo nostos nascosto nei boschi dove rinnova i riti di un’esistenza arcaica, nel paesaggio idilliaco che conosce bene e in cui si sente al sicuro, sotto «la nuda distesa del cielo notturno», quel country dark che dà il titolo al libro. Per lui, amante della natura e individualista autosufficiente, chi «non riusciva a sopravvivere nei boschi non meritava neppure di respirare».

La sera, mentre cuoce le prede in un accampamento improvvisato, questo novello Thoreau è anche il cow-boy solitario della frontiera che si gusta il riposo e una sigaretta sotto le stelle; ma la sua intimità con la natura verrà presto sconvolta da un nuovo episodio di violenza: uno zio tenta di violentare la nipote quindicenne a pochi metri dal suo rifugio. Tucker entra in azione e salva la ragazzina, Rhonda, che diventerà l’amata compagna della sua vita. Benché pronto a uccidere, questo giovane uomo ha un codice etico che lo fa apparire il più amabile nella comunità di farabutti, sceriffi corrotti, contrabbandieri e delinquenti in cui si muove. Offutt ci tira sempre dalla sua parte, fa apparire corretto il suo comportamento, a fronte di un contesto in cui è saltata la legalità e ci si può solo difendere combattendo lotte solitarie contro un male a cui il dark del titolo allude.

È stato notato che il romanzo richiama anche il genere epico, non solo per il tema dell’agognato ritorno in patria, ma soprattutto per la statura del piccolo eroe individualista e impavido che sfida le istituzioni, si oppone al boss della malavita per cui lavora contrabbandando alcol, combatte contro la gang di criminali nella prigione in cui è finito per coprire, sotto ricatto, gli affari illegali del suo datore di lavoro.
Tucker ha sempre la meglio in queste scene di assalti e di ferocia perché, come gli eroi omerici, in battaglia unisce l’astuzia alle armi ed è capace di imprese straordinarie, impossibili per i suoi avversari la cui violenza è spesso fine a se stessa. Come dice al figlio minore mentre lo addestra a vivere nei boschi, lui è dotato di una tripla identità: mezzo buono, mezzo cattivo e mezzo sfortunato. Dolcissimo il monologo improvvisato, subito dopo una sua impresa, per l’amato primogenito, nato idrocefalo, cui spiega come si fa a pescare, gli racconta come suo padre si liberò dei procioni che devastavano l’orto, lo mette al corrente della sua amicizia con uno sbirro che, come lui, aveva messo la famiglia al primo posto, e lo istruisce sui corvi che non si schiantano quando planano sulla preda come gli aerei in Corea.

I quattro capitoli di Country Dark portano come titolo gli anni che hanno segnato la vita di Tucker: il 1954, data del suo ritorno dalla Corea; il 1964, quando le istituzioni minacciano l’integrità della sua famiglia; il 1965, quando entra in prigione; il 1971, quando, scontata la pena, chiude per sempre il rapporto con il suo boss in uno straordinario finale nell’erba alta delle colline illuminate dalla luna, dove incontra anche una sorta di dea che lo protegge.

Un epilogo in forma di riscatto
Non si dimentica facilmente, questo romanzo, e non solo per la bellezza terrificante della scrittura di Offutt che intreccia storie estreme a passi bucolici di struggente liricità, ma anche per le molte questioni che solleva circa un Kentucky, metafora del mondo, dove la giustizia fai-da-te non appartiene soltanto a gangster e pistoleri. Il piccolo Tucker, permanentemente in guerra, è un uomo anomalo anche nell’aspetto: ha occhi di colore diverso, e pone più quesiti al nostro futuro che al suo, beneficiato di un epilogo che gli arriva sotto forma di riscatto. Se c’è una spiegazione agli handicap di quattro dei suoi figli che i medici non sanno ricondurre a ragione, questa sta non nella scienza, ma forse in un monito simbolico a invertire quella rotta che potrebbe portare verso imprevedibili distopie.

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