Dalla contemplazione all’esperienza totale
Mostre «Andante con moto» di Liliana Moro, al Pac di Milano fino al 15 di settembre. L’artista introduce a un viaggio attraverso i sensi
Mostre «Andante con moto» di Liliana Moro, al Pac di Milano fino al 15 di settembre. L’artista introduce a un viaggio attraverso i sensi
È un’«esperienza sensibile» quella che, fenomenologicamente, avviluppa lo spettatore alla personale di Liliana Moro, Andante con moto al Pac di Milano, a cura di Letizia Ragaglia e Diego Sileo e proveniente dal Kunstmuseum Liechtenstein.
Uno smantellamento concettuale che sovverte l’usuale atto del vedere in una esperienza più profonda e deviante, che incorpora il suono, la voce e perfino il dasein: quell’esserci che è allo stesso tempo un essere-con.
Liliana Moro (Milano, 1961) è un’artista ferventemente attiva fin dalla fine degli anni Ottanta. Insieme ad altri artisti e Luciano Fabro (suo docente all’Accademia di belle arti di Brera) ha fondato lo Spazio autogestito di via Lazzaro Palazzi a Milano (1989-1993), rovesciando il fare e l’intendere l’arte in maniera distonica.
Da allora, l’artista non si è più fermata, partecipando a «documenta IX» a Kassel (1992), alla sezione «Aperto» della XLV Biennale di Venezia (1993) e al Padiglione Italia della LVIII Esposizione internazionale d’arte di Venezia (2019) curata da Milovan Farronato.
L’ATTITUDINE SCALZANTE di Liliana Moro è sottile, parte dalla realtà e ne amplifica il trasferimento estetico, stimolando una percezione plurisensoriale che rimanda all’intensità dell’esistere e all’adesione esperenziale con l’altro, distogliendolo dalla banalità del contemplare l’opera per arrivare a esperirla. È quel «toccare sé, essere toccati direttamente in sé, fuori di sé, senza nulla che si appropri» descritto da Jean Luc Nancy: una fine pratica di empatia a cui il fruitore non può sottrarsi.
«L’artista da sempre richiede un surplus di attenzione: una forma di concentrazione e soprattutto la disponibilità ad andare oltre la soglia del visibile… ci chiede di prendere una posizione anche se lascia sempre aperta la possibilità di accettare il gioco (e fondamentalmente le sue regole)», scriveva di lei Emanuela De Cecco nel 1999.
ACCEDENDO alla mostra milanese si viene accolti da Senza fine (2010), opera che diffonde «Bella ciao» da una tromba acustica appesa all’ingresso, inondando i neuroni del visitatore. A seguire si trova via Breda 122, Milano (1989), un wallpaper realizzato da una foto scattata dal balcone di casa della stessa Liliana che offre una veduta di via Breda degli anni 80 e la sua sonorità urbana raccolta da un microfono.
È soprattutto un incipit alla sua ricerca giostrata tra suono, spazio aperto, socialità e politica. Suoni e voci si riarticolano in seguito ne Le nomadi (2023), installazione composta da 9 zainetti colorati e rotanti dai quali si propagano voci femminili: ogni zainetto rappresenta un’identità precisa, che profonde il suo essere al mondo e ne include la voce.
È ANCORA IL SUONO a catalizzare il fruitore all’interno della circolarità di Moi (2012), composta da 12 casse acustiche il cui testo è letto da Moro e si riferisce alla sua performance Studio per un probabile equilibrio in movimento (1997). Non è un dettaglio notare i cavi a terra e a vista che si attorcigliano tra loro (retaggio punk, purezza installativa) e che si ritrovano in altre opere. Poi lo spaesamento di “ ” , il cui titolo è un virgolettato esplicativo che ci spinge al confronto con la propria soggettività.
Esposto nella galleria Emi Fontana nel 2001, introduce a un pavimento sommerso da vetri frantumati che attende l’attraversamento incauto dello spettatore, che lo percorre infrangendolo ulteriormente, ascoltando il calpestio e il suo sbriciolamento, alterando la propria postura e il proprio passo, disvelando il sé e la sua fragilità, il rischio e la sua attrazione e l’inconscio sonoro che ne deriva.
CI SI CONFRONTA ancora col proprio inconscio con In onda (2021), un black ambient in cui ci si ritrova placentarmente soli con la registrazione di voci e rumori emessi dai pesci sott’acqua; un’opera che richiama l’attenzione sull’allarme per l’inquinamento acustico dei mari che ne sta alterando la fauna. Fascinosa e disfunzionale è La passeggiata (1988), installazione liquida che dispone di pattini a tre rotelle privi di lacci attaccati tra loro da catene di ferro che ne vincolano il libero agire.
E ancora Spazi (2019), una sorta di mirabilia archivistica delle maquettes degli spazi dove Moro ha realizzato le sue mostre, tra le quali il progetto utopico Tira Molla per «documenta IX». L’opera coinvolgeva la Neue Galerie di Kassel,che doveva essere attraversata per tutta la sua lunghezza da un cavo d’acciaio che finiva per ancorarsi al muro del museo. Il cavo tirato fino all’esterno si sarebbe attaccato alla sua macchina, una Fiat 126 color amaranto con il motore acceso.
L’installazione, però, si rivelò troppo radicale e dunque unrealized, per questo fu cambiata in fretta. L’intera balconata al primo piano è ricoperta da bellissime immagini in bianco e nero di soggetti manifestanti con il megafono e/o il microfono. Si sentono le loro voci nel silenzio assordante.
Andante con moto (2023) è una sorta di omaggio al suo nume ispirativo Samuel Beckett. Secca e austera, è organizzata da tre casse acustiche che emettono la voce di Liliana Moro nella lettura de L’ultimo nastro di Krapp (1958), oltre a una banana gigante in cemento installata per terra. Il frutto presente nella pièce del drammaturgo irlandese, diviene icona testuale. E ancora altre opere, altri pensieri, altri sguardi e altri suoni di una delle più grandi artiste italiane.
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