Dalla commedia al dramma sulla scena di Les Huguenots
Lirica Il debutto di Michele Mariotti alla Deutsche Oper di Berlino con il melodramma di Meyerbeer
Lirica Il debutto di Michele Mariotti alla Deutsche Oper di Berlino con il melodramma di Meyerbeer
Non sarebbe sbagliato evocare clima, colori e ampiezze narrative della Reine Margot di Patrice Chereau per dare almeno un’idea parziale del carattere dell’opera Les Huguenots di Giacomo Meyerbeer, creata a Parigi nel 1836 e ambientata proprio nei giorni della strage di san Bartolomeo.
Jacob Lieberman Beer, vero nome del compositore berlinese, divenne a metà dell’Ottocento il re delle scene parigine e i principale alfiere del Grand Opéra, il genere più spettacolare dell’opera francese.
Meyerbeer ha influenzato moltissimi musicisti, inclusi Verdi e Wagner, che lo fece poi oggetto di violenti attacchi antisemiti. Les Huguenots marca il debutto alla Deutsche Oper di Berlino di Michele Mariotti, tappa importante, ma anche prosecuzione di un percorso ideale. «Qualcuno si è stupito della scelta – ammette Mariotti – ma per me Meyerbeer è molto più vicino al Guglielmo Tell, che ho molto approfondito, che non a Gounod o a Massenet».
Un’opera gigantesca, che fa della resistenza fisica un dato centrale: «Rispetto a Rossini la fatica fisica è maggiore –insiste Mariotti – forse è l’opera più faticosa che abbia mai affrontato. Una vera maratona, anche tecnicamente, perché costruita in modo eterogeneo: i primi due atti in forma di commedia, poi un terzo atto più liquido e sfumato e i due atti conclusivi in cui le strutture musicali si dilatano e si deve conferire il giusto colore al dramma. È affascinante confrontarsi con più stili».
Mariotti ha lavorato con un cast di alto livello, molto adatto a un’impostazione più «lirica» de Les Huguenots, affidato di solito a voci più drammatiche. Nella recita del 26 novembre Juan Diego Florez, che affrontava il suo primo Raul, parte fra le più impervie del repertorio romantico, è apparso in forma spettacolare e estremamente coinvolto sul piano scenico. Florez condivide con Patrizia Ciofi, Marguerite de Valois molto estroversa nonostante qualche fragilità, una perfetta padronanza di dizione e stile francesi.
Lo spettacolo di David Alden era vivace e inventivo ma rispettoso della partitura: tappezzerie e un grande soffitto a capriate scandivano gli spazi di dimore private, palazzi reali e infine il rifugio degli ultimi Ugonotti, dove Raoul e Valentine si sposano prima di soccombere alla furia dei cattolici. I costumi di Constance Hoffman erano ottocenteschi con inserti anni ‘50, mentre i sovrani apparivano simbolicamente come monumenti a cavallo, in abiti d’epoca.
«Mi sono trovato magnificamente con Alden –conclude Mariotti – un registra che sente ogni pagina musicale e conosce a fondo la partitura». Successo travolgente per tutti, con acclamazioni infinite per Florez, Ciofi e Mariotti.
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