D’Alema: «Noi, la sinistra che ha smesso di criticare il capitalismo»
Democrack D’Alema ai vent’anni di Italianieuropei. Lettera di Zingaretti: il nostro futuro si intreccerà
Democrack D’Alema ai vent’anni di Italianieuropei. Lettera di Zingaretti: il nostro futuro si intreccerà
«C’è stata una sconfitta culturale, noi, la sinistra, abbiamo cessato di essere diffidenti e critici nei confronti del capitalismo. Abbiamo perduto lo spirito critico che aveva animato a lungo la sinistra». Quella di Massimo D’Alema al convegno per i vent’anni della Fondazione e della rivista Italianieuropei è l’autocoscienza di una generazione politica che ha perso la battaglia «ingloriosamente, senza lottare»: ha visto nella globalizzazione il potenziale di crescita ma non si è attrezzata a combattere la parallela ed esponenziale crescita delle diseguaglianze.
«Abbiamo colpevolmente confuso liberalismo con liberismo» dice Mario Hubler, segretario della Fondazione. Goffredo Bettini più tardi parlerà di «cedimento morale» del fronte socialdemocratico, ricorderà il Blair della seconda guerra di Libia come emblema di «una desolante deriva». (Parentesi: dall’89 in avanti c’è stata un’altra sinistra critica con la svolta del Pci, con la globalizzazione, i cedimenti e le guerre. Qui non viene ricordata, forse essa stessa è dimentica di sé, ma questa sarebbe un’altra storia e chiudiamo la parentesi).
SOTTO LA LENTE DI D’ALEMA quegli anni novanta in cui al governo dell’Europa a 15 stati c’erano quasi solo socialisti. Oggi che «la crisi dell’Europa è crisi di progetto», «dove abbiamo sbagliato?». «Siamo stati profeti disarmati», si risponde. Le socialdemocrazie non hanno saputo dotare ai cittadini «il potere europeo», insomma un’Unione democraticamente scelta. Ed ora i sovranisti raccolgono questa giusta esigenza. Serve una «proposta di ’sovranismo europeo’, un radicale cambiamento. Se invece saremo solo il volto buono dell’establishment l’elettorato non avrà pietà di noi». Ma la scelta «burocratica» dei socialisti (e del Pd) di ricandidare alla presidenza della commissione europea l’ex vice di Junker non va in questo senso, ammette Andrea Orlando.
«UN NUOVO PATTO tra i cittadini e l’Europa» è il fuoco delle relazioni della mattina, quella della ricercatrice del Cnrs francese Anne-Laure Delatte, che affronta l’analisi del «manifesto per democratizzare l’Europa» proposto dall’economista Thomas Picketty; e quella della filosofa Donatella Di Cesare. Sala affollatissima per tutte le sei ore di interventi, parterre de roi, molti ex Pci, oggi variamente posizionati. Siamo al Rome Hotel Life, era la sede dei Ds, dopo la ritirata da Botteghe Oscure: «Tornare qui è un’emozione fortissima», dice Livia Turco.Va in scena il disgelo fra i dem impegnati nelle primarie Pd, tendenza Zingaretti – ci sono Andrea Orlando e Goffredo Bettini – e la «Ditta». Ma c’è anche Mario Tronti, il padre dell’operaismo italiano, Bersani, Vendola e Laura Boldrini, lei titolare di una proposta esplicita «di una lista comune alle europee». C’è unanimità sulla necessità di «ricostruire», leggasi tornare insieme. «Questa festa di compleanno sembra un congresso», scherza Gianni Cuperlo. «È perché abbiamo tutti voglia di fare un congresso insieme», replica a tono D’Alema. «Dopo il 4 marzo abbiamo perso un anno, tutti a sinistra, senza fare un congresso», sferza Antonio Bassolino sommerso dagli applausi: ce l’ha con i traccheggiamenti Pd ma anche quelli di Leu. «A me sembra una direzione dei Ds», chiosa Roberto Speranza. Che oggi a Roma terrà l’assemblea di superamento della sua Mdp. Titolo: «Ricostruzione». Appunto. «Bisogna ricostruire un campo politico o non conteremo più nulla in futuro», è la tesi di D’Alema. E di «campo unitario di tutte le sinistre» parla Bettini.
IL CANDIDATO ALLE PRIMARIE PD Zingaretti non c’è, forse per evitare una foto fra ex che rischia di virare in seppia. Ma il messaggio che invia all’ospite è chiaro: «Sono certo che ci saranno con te e con la Fondazione altre occasioni per confrontarci e intrecciare i nostri pensieri politici e le nostre proposte per il futuro».
C’È ANCHE L’EX CANDIDATO Minniti. Siede in prima fila, il suo intervento è nel programma. Ma si fa nero in volto quando la professoressa Di Cesare scandisce: «Come si può combattere la xenofobia e il criptorazzismo e poi abbandonare i migranti nei campi libici? Abbiamo inseguito le politiche delle destre, non siamo stati in grado di roversciarne la narrazione sui migranti». Applausi. Poco dopo Minniti se ne va. Ai cronisti che lo inseguono dice: «Ho il mal di schiena».
OLTRECHÉ SULL’EUROPA (tutti dicono no al fronte repubblicano di Calenda per dire no a quello di Renzi) gli interventi si intrecciano anche sulla strategia del dialogo con i 5 stelle per «disarticolare» il governo giallo-verde: «Nel Pd il congresso è fra chi non ci vuole fare il governo e chi non ci vuole parlare», ragiona D’Alema. Invece si deve: «È politica, è buonsenso. Non si può non parlare con chi, milioni di nostri ex elettori hanno scelto come propri rappresentanti. Come con la Lega nel ’94». Nel Pd basta la parola «M5S» per scatenare la polemica. Ma all’ineluttabilità di quel dialogo, prima o poi, credono anche Cuperlo, Orlando e Bettini.
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