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Dal ring al carcere

Rio 2016 E due! Sono infatti già due i pugili arrestati da quando sono iniziate le Olimpiadi. E tutti e due per molestie sessuali. Dopo il marocchino Hassan Saada, è toccato al […]

Pubblicato circa 8 anni faEdizione del 12 agosto 2016

E due! Sono infatti già due i pugili arrestati da quando sono iniziate le Olimpiadi. E tutti e due per molestie sessuali.

Dopo il marocchino Hassan Saada, è toccato al namibiano Junias Jonas. Aveva sfilato al Maracanà sventolando la bandiera della Namibia: dunque, era il loro atleta più rappresentativo.
Non è proprio raro per un pugile rischiare la prigione. E quando ci finisce in qualche modo c’entra il rapporto con le donne.
Tra i casi più noti vi sono quelli di Carlos Monzon, condannato per avere ucciso la ballerina Alicia Muniz (Monzon morirà in uno schianto di auto durante un permesso premio), e di Mike Tyson, condannato a dieci anni per la violenza sessuale nei confronti di Desirée Washington.

Un triste legame che non ha risparmiato nessuno, neanche i grandi del ring.

Junias Jonas avrebbe dovuto combattere martedì contro il boxeur francese Hassan Anzille. Invece, si trova a trascorrere il mese di agosto, e chissà quanto altro tempo ancora, nella prigione di Bangu. Non è una prigione qualsiasi. È il carcere dove Josè Padilla ha girato il sequel del film «Tropa de Elite»: gli squadroni della morte, vincitore a Berlino nel 2008 dell’Orso d’oro per il migliore film. A Rio e San Paolo lo hanno visto praticamente tutti.

Droga, corruzione e polizia sono parte di un unico plot. A Bangu, Padilla ha ambientato una delle tante rivolte avvenute nelle carceri brasiliane e finite in un massacro. Il film evoca la strage di prigionieri avvenuta nella galera di Carandiru a San Paolo, quando la polizia arrivò ad ammazzare a freddo 111 detenuti, a rivolta oramai conclusa. Il carcere di Carandiru dieci anni dopo fu chiuso. Di quel massacro restano solo un film di Hector Babenco e una canzone dei Sepultura. Non c’è traccia, infatti, di condanne eseguite nei confronti di chi lo aveva ordinato o eseguito.
Junias Jonas non è stato trattato con i guanti bianchi. Bangu è qualcosa di più di una prigione. È un mega-penitenziario, composto da ben 17 diverse sezioni. È il carcere dove venne recluso il miliardario Andre Esteves, accusato di un grande scandalo economico. Ventidue giorni trascorsi nella prigione di Bangu, affollata, pare, oltre che da detenuti anche da topi e insetti vari.
Junias Jonas anche se dovesse leggere un libro al giorno non potrebbe usufruire degli sconti di pena per chi si dedica allo studio. Non dovrebbe vigere infatti nel carcere di Bangu quanto previsto negli Stati del Paranà e del Cearà. In base al programma Reembolso atraves da leitura il detenuto può scegliersi un libro tra quelli presenti in biblioteca. Ha 28 giorni per leggerlo.

Dovrà poi sostenere un esame scritto e orale a testimonianza di averlo fatto e di averne capito il senso, nonché di essere capace di sintetizzarlo rispettando le regole grammaticali. Per ogni libro letto e relativo esame superato vi sono quattro giorni di carcere in meno da espiare.

Non c’è dubbio che l’educazione, la letteratura, lo studio costituiscono un tassello decisivo nella scelta di emanciparsi de scelte o carriere devianti. Ed è altresì certo che la lettura di qualità è una grande risorsa per la crescita individuale. Detto questo, l’ideale sarebbe costruire un sistema penitenziario mite, rispettoso della dignità umana, ispirato al principio della responsabilità e dell’integrazione sociale, dove non tutto però viene negoziato entrando all’interno dello scambio trattamentale.

Non è giusto trasformare tutto in una punizione oppure in un premio. Barattandola con la libertà, anche la lettura non sarà una scelta spontanea ma sarà una decisione opportunisticamente calcolata.

Nelle contraddizioni del Brasile di oggi c’è anche questo.

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