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Dal Po al Matese, i parchi sospesi

Ambiente La più antica delle aree protette rimaste sulla carta è quella del golfo di Orosei e del Gennargentu, in Sardegna, seguita dalla Costa dei Trabocchi, tra Ortona e San Salvo in Abruzzo. Bloccate da piccoli interessi di parte

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 7 gennaio 2021

Nel ripercorrere la storia della legge n. 394/1991, legge quadro sulle aree naturali protette di cui nel 2021 si celebrerà il trentennale, si dovrà riconoscere che tra le categorie di aree protette che questa legge aveva individuato era mancata quella dei Parchi sulla carta: parchi istituiti a livello nazionale che purtroppo non sono mai diventati operativi per l’opposizione a livello regionale, quando non locale, di portatori di interessi particolari che hanno trovato sponda in politici compiacenti.

Decano di questa categoria è sicuramente il Parco Nazionale del Golfo di Orosei e del Gennargentu, chiamato a proteggere uno degli ultimi residui della spettacolare wilderness mediterranea: un grande mosaico che dalle vette di oltre 1800 metri scende fino al mare nel Golfo di Orosei, tra i più selvaggi tratti di costa del Mar Mediterraneo. In qualsiasi altro Paese al mondo un patrimonio così ricco di biodiversità sarebbe conservato e valorizzato. In Italia invece «il Parco Nazionale del Golfo di Orosei e del Gennargentu è formalmente istituito, ma non è operativo», come si legge sul sito del Ministero dell’Ambiente, nonostante se ne parli dagli Anni ’30 del secolo scorso e sia stato inserito persino nel Piano di rinascita economica e sociale della Sardegna degli anni ’60. Nel 1989 il parco fu previsto da una legge regionale, ma è con la legge n. 394/1991 e il decreto istitutivo del 1998 che ne è stata formalizzata la nascita. Da allora il parco è come sospeso: dopo una lunga vicenda giudiziaria arrivata in Corte Costituzionale (che ha confermato la legittimità del suo iter istitutivo), a tutt’oggi il parco non esiste perché la Legge Finanziaria del 2005 ha stabilito di rinviare la concreta applicazione della disciplina di tutela a una nuova intesa tra Stato e Regione Sardegna: intesa che in 15 anni, nonostante l’avvicendarsi di governi nazionali e regionali, non è mai stata siglata.

A PROPOSITO DI PARCHI SOSPESI, non si può dimenticare il Parco Nazionale della Costa Teatina, chiamato a tutelare un tratto di costa tra Ortona e San Salvo, individuato anche come Costa dei Trabocchi dal nome delle ardite costruzioni per la pesca a mare, oggi grande attrattiva turistica. Nonostante sia senza dubbio il tratto di maggior valenza naturalistica di tutto il litorale abruzzese, con habitat e specie di interesse europeo, come testimoniano sei siti d’importanza comunitaria e sette riserve naturali regionali, ancora oggi non è stato completato l’iter istitutivo avviato nel 1997 con il suo inserimento tra le prioritarie aree di reperimento per nuovi parchi, confermato dalla legge n. 93/2001 che lo ha individuato come parco nazionale. Ma dopo tutti questi anni il parco non riesce a vedere ancora la luce, nonostante esista una perimetrazione predisposta nel 2015 da un commissario appositamente nominato dal Governo proprio per l’inerzia del Ministero dell’Ambiente e della Regione Abruzzo.

Qualche speranza in più vi era per il Parco Nazionale del Matese a cavallo tra Molise e Campania. Anche questa è un’area protetta di cui si parla da decenni e che è stata finalmente individuata con la legge n. 205/2017. È arrivata anche una proposta di perimetrazione e zonazione da parte del Ministero dell’Ambiente sulla base degli studi dell’Ispra: da allora è iniziato un penoso balletto di omissioni, obiezioni e rinvii nei quali si è particolarmente distinta la Regione Campania. Ovviamente, come hanno fatto notare le Associazioni riunite nella Consulta del Matese, poiché le aree protette tutelano valori naturali e paesaggistici a rischio, il fattore tempo non è affatto neutro: per il territorio del Matese, così come per gli altri territori da ricomprendere nei nuovi parchi, ogni anno che passa vuol dire rischiare di perdere luoghi ad alta valenza ambientale e al tempo stesso rinunciare a occasioni di sviluppo sostenibile.

SPERANZE PERSE ORMAI per il Parco Nazionale del Delta del Po che avrebbe dovuto tutelare il più vasto complesso di zone umide d’Italia con più di dieci aree internazionali istituite ai sensi della Convenzione di Ramsar. La conservazione di un unico ambiente naturale sembra destinata a rimanere divisa tra due parchi regionali, uno in Emilia Romagna e uno in Veneto, che non ricomprendono neppure tutti i siti della Rete Natura 2000 presenti e che non hanno saputo garantire una tutela effettiva e dinamica dell’area individuata tra quelle maggiormente a rischio nel Piano nazionale antibracconaggio.

Gennargentu, Costa teatina, Matese e Delta del Po, quattro esempi di scelte di sviluppo sostenibile bloccate dai veti di cacciatori e speculatori nonostante previsioni legislative nazionali, finalizzate al raggiungimento di obiettivi sovranazionali di conservazione a loro volta suffragati da studi di università e organismi di ricerca: al di là degli aspetti ambientali, questi parchi sulla carta rappresentano la pessima immagine di un Paese ostaggio di piccoli interessi di parte che riescono a impedire la tutela del capitale naturale anche contro la volontà del Parlamento.

* Vicepresidente Wwf Italia

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