«Non dite sciocchezze, non ci sarà un’altra guerra», «l’umanità non è così stupida da provocare una guerra che la spazzerebbe dalla faccia della terra!». Sono queste alcune delle frasi pronunciate da vari personaggi, di solito uomini di mezza età, che appaiono in due film giapponesi prodotti agli inizi degli anni sessanta, in piena guerra fredda e con il terrore di una terza guerra mondiale imminente. World War III: 48 Hours of Fear (conosciuto anche come The Final War) prodotto dalla Toei e The Last War firmato Toho, sono due lungometraggi molto diversi stilisticamente fra loro, l’uno, quello diretto da Shue Matsubayashi per la Toho, un vero e proprio spettacolo sulla guerra nucleare.
Appaiono città distrutte, esplosioni e attacchi aerei, che interseca le vicende quotidiane di una normale famiglia giapponese con la tragedia della guerra, film che adopera gli effetti speciali del genio Eiji Tsuburaya, già responsabile per Godzilla, Ultraman e altri film tokusatsu del dopoguerra. Mentre il film della Toei, diretto da Shigeaki Hidaka, è più una tragedia vista dalla gente comune che spettacolo visivo, un interessante ritratto di come le giovani generazioni si relazionavano al pericolo di una terza guerra mondiale e alla distruzione finale attraverso le armi nucleari nei primi anni sessanta.

IN «LAST WAR», sono passati sedici anni dalla fine della seconda guerra mondiale e il Giappone è in fase di ripresa economica. Tamura, l’ottimo Frankie Sakai, lavora come autista per un’agenzia di stampa ed è sempre intento a risparmiare un po’ di soldi per poter garantire un futuro migliore alla sua famiglia, mentre la figlia Saeko è innamorata di Takano, Akira Takarada, marinaio che al ritorno da un viaggio accetta di sposarsi con la ragazza. I piani della famiglia però vengono distrutti dalle tensioni fra i due blocchi, quello americano e quello sovietico, soprattutto dopo la cattura di una nave e lo scoppio di una nuova guerra di Corea che finisce per coinvolgere tutto il globo.
Anche in The Final War l’elemento scatenante è un incidente aereo nello spazio aereo della Corea del Nord e la guerra nucleare che ne deriva finisce per coinvolgere anche il Giappone, il film esce nel 1960, lo stesso anno in cui il paese asiatico firma l’Anpo, il trattato di mutua cooperazione e sicurezza con gli Stati uniti e questo legame viene spesso sottolineato nel film.

NON SI TRATTA di capolavori, anche se The Last War fu il secondo film per incassi al botteghino del Sol Levante nel 1961, ma sono comunque due opere affascinanti perché vanno a toccare delle paure e un senso di terrore e di assenza di futuro che stanno purtroppo prepotentemente emergendo di nuovo in questi ultimi mesi. Ciò che accomuna i due lungometraggi è il senso di impotenza di chi capisce che l’umanità sta per autodistruggersi attraverso una guerra nucleare e come le speranze e i progetti per il futuro delle persone comuni sono destinati a bruciare ed estinguersi nella distruzione atomica. L’impotenza del personaggio interpretato da Frankie Sakai nel film della Toho, attore di solito impegnato in parti comiche, che non si rassegna se non quando tutto è perduto, è molto toccante è rappresenta il destino di chi non può fare nulla se non aspettare la fine propria e quella dei suoi cari, l’ultimo pranzo con i suoi famigliari è in questo senso straziante. Sebbene leggermente diverso, questo sentire risuona con il nichilismo dei giovani nel film della Toei fin dalla primissima scena dove uno di loro sfoglia un libro di fotografie dei corpi bruciati e deformati dopo le esplosioni di Nagasaki e Hiroshima.

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