Difendere l’indifendibile. Così l’Economist sintetizzava pochi giorni fa il compito che si è auto-assegnata Aung San Su Kyi: nel 1991 premio Nobel per la pace e ieri a L’Aia, di fronte ai 17 giudici della Corte di giustizia internazionale, scudo ufficiale del governo del Myanmar per i crimini commessi nell’estate del 2017 contro la popolazione Rohingya nello Stato del Rakhine. ALLORA FURONO PIÙ DI 700 MILA i Rohingya costretti a lasciare le proprie case, ad attraversare il fiume Naf e a cercare rifugio nel confinante Bangladesh, nel distretto di Cox Bazar. Abusi, omicidi sommari, villaggi dati alle fiamme, bambini rimasti...