ExtraTerrestre

«Dai suini cinesi alla soia ucraina, una produzione insostenibile»

Intervista Dalla Cina al Brasile, passando per l’Olanda. One Earth mostra come gli allevamenti intensivi, la deforestazione e i cambiamenti climatici siano connessi. E legati al sistema produttivo

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 2 giugno 2022

Portare l’attenzione sulle connessioni più che sugli elementi a sé stanti. «L’ambizione è quella di collegare i puntini, non per essere velleitari ma per dare uno sguardo trasversale, globale». Per mostrare il legame tra le crisi del nostro pianeta e il sistema di produzione alimentare. Everything is connected (tutto è connesso) è il sottotitolo di One Earth, documentario di Francesco De Augustinis che verrà presentato al festival CinemAmbiente di Torino (mercoledì 8 giugno alle ore 17,30 al Cinema Massimo). Un viaggio – dalla Cina al Brasile passando per l’Olanda – che racconta gli squilibri del nostro sistema alimentare, altamente produttivista, attraverso una serie di fenomeni a catena: l’aumento esponenziale del consumo di carne in Asia, l’iper-intensificazione degli allevamenti, la deforestazione tropicale, il crollo drammatico della biodiversità, la crisi alimentare, l’aumento delle epidemie, la crisi climatica. Ne parliamo con il regista, che come giornalista lavora sui temi dell’agroalimentare da almeno dieci anni; iniziò a occuparsene con un video sui pesticidi nelle coltivazioni del tabacco.

Com’è nata l’idea del film One Earth e com’è stato impostato il progetto?

Questo è il secondo documentario a cui lavoro. Il primo era Deforestazione Made in Italy e parlava del legame tra disboscamento in Sudamerica ed eccellenze italiane: è stato un esperimento e da quell’esperienza è nato il nuovo film, una produzione indipendente avviata con un crowdfunding. Ci ho lavorato due anni, dal 2019 al 2021, partendo dai numeri impressionanti dell’aumento della produzione zootecnica su scala globale. Secondo stime conservative (dati Fao), vengono allevati nel mondo oltre 160 miliardi di animali ogni anno. E il numero sta crescendo rapidamente: la Cina, dove il consumo di carne è notevolmente salito, è uno dei motori dell’escalation. Il voler affrontare la massiccia intensificazione degli allevamenti sotto vari punti di vista – ambientale, sanitario, etico – ha delineato la traccia narrativa. Poi, ci sono state la pandemia da Covid-19, che ha fatto emergere alcuni aspetti latenti, e la coincidenza di trovarmi in Cina negli stessi giorni del presunto spillover. Questo ha dato un nuovo senso al progetto.

Una delle immagini simbolo del primo capitolo è il grattacielo dei suini nella Cina meridionale. Che luogo ha trovato?

È formato da imponenti blocchi grigi di cemento, nascosti in una cava di terra al centro di una montagna, dove in verticale vengono allevati ogni anno circa 840 mila maiali. Un progetto di cui i rappresentanti dell’azienda Yangxiang vanno fieri, come sottolineato nelle interviste che ho raccolto. Sono orgogliosi dell’abbattimento dei costi di produzione e della presunta sicurezza sanitaria del luogo, apparentemente schermato dai virus e dove i lavoratori sono obbligati vivere a ridosso degli allevamenti e a sottoporsi a periodi di quarantena. Ma c’è l’altra faccia della medaglia: allevamenti intensivi costruiti nel cuore di zone naturali favoriscono in modo pericoloso lo sviluppo e la diffusione di virus provenienti dalla fauna selvatica.

L’orgoglio per allevamenti intensivi l’ha riscontrato non solo in Asia anche in Occidente, come nella Food Valley nei Paesi Bassi. È proprio così?

Sì, facendo, per esempio, l’elogio dell’allevamento più moderno che rivoluzionerà il nostro modo di mangiare. Uno dei fili che il documentario collega è che tutti si riempiono la bocca della parola sostenibile, ma gli esiti che derivano dalle diverse azioni non sono tali. E non è sempre un discorso di ipocrisia; è relativo ai punti di riferimento, è valoriale. Si ragiona ancora che per sfamare il mondo si debba fare massima produzione al minimo prezzo, senza pensare ai costi ambientali o sociali che ricadono su tutti noi. Un tema – quello della fame – di cui vorrò occuparmi nel prossimo lavoro. E non si fa luce sull’impatto che il sistema alimentare ha sulle diverse crisi che affliggono il nostro pianeta, in particolare climatica.

Cosa viene taciuto?

Che, come ha sostenuto uno studio di Science, se fossimo anche in grado di azzerare di colpo tutte le emissioni di gas serra legate ai combustibili fossili, se non cambiamo radicalmente il nostro sistema alimentare, siamo condannati a perdere la battaglia contro il surriscaldamento. Perché è responsabile di almeno il 30 per cento delle emissioni di gas serra. Lo è per l’impatto delle diete, che fanno eccessivo ricorso a prodotti di origine animale, e per la deforestazione legata alla creazione di nuove superfici agricole.

Un fenomeno che in Brasile con il governo Bolsonaro è cresciuto a dismisura. Lo testimonia l’autista che nel film racconta di come l’habitat circostante un tempo fosse pieno di animali, persino giaguari, mentre ora è una distesa di campi di soia.

A febbraio 2022 la deforestazione in Amazzonia ha segnato un nuovo record, con 199 chilometri quadrati deforestati, in aumento del 62% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. È dovuta soprattutto all’avanzata dell’agricoltura. Nei media spesso si parla di incendi di foreste ma non si spiegano motivi o interessi, legati a una domanda di mercato. La guerra in Ucraina ha, inoltre, fatto schizzare i prezzi della soia, non era il massimo produttore ma produceva anche soia, e questa situazione crea una nuova domanda che incentiverà la deforestazione in Sudamerica.

I tanto millantati progressi nel settore agroalimentare hanno una deriva dal sapore distopico sfociata nella pandemia. Intravvede qualcosa di positivo?

Sia la pandemia che la guerra ci hanno dato una sveglia. Alcuni temi sono stati finalmente sollevati. Per quanto riguarda la prima, più o meno tutti abbiamo capito che c’è qualcosa che non va a livello di equilibrio planetario. E con il conflitto sono emerse le interdipendenze dei sistemi alimentari. Siamo a un bivio e se un cambiamento può avvenire non può che partire dall’Europa, non credo dagli Stati Uniti o dalla Cina. Qui, a livello normativo qualcosa si sta muovendo. Anche se il dibattito resta inquinato da interessi, pure a livello mediatico (il cosiddetto greenwashing).

Che siano saltati gli equilibri ecosistemici ce lo dice l’aumento delle epidemie negli allevamenti intensivi anche in Italia.

Solo nel 2022 l’Italia è stata alle prese con due gravi epidemie in ambito zootecnico. Da gennaio è scattata l’allerta sulla peste suina, in Piemonte e Liguria. Nello stesso periodo un’epidemia di aviaria ha portato all’abbattimento di 15 milioni di capi tra polli e tacchini, in Veneto e in parte in Lombardia. In particolare in provincia di Verona, dove c’è un capannone ogni 100 metri e dove il camion dei mangimi passa da un posto all’altro. È un rischio calcolato, perché simili epidemie di aviaria si ripetono ogni anno in Europa, ma grazie agli indennizzi gli allevatori non ci perdono quasi nulla.

Per vedere il documentario: https://vimeo.com/ondemand/oneearthtuttoeconnesso

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