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Dai call center alle miniere, prove di autonomia sindacale

Dai call center alle miniere, prove di autonomia sindacaleTirana, foto di Cosimo Maffione

Speciale Humans of Albania I continui fenomeni migratori hanno creato una forte domanda di lavoro all'interno del paese. Ed è in queste condizioni che tra i lavoratori albanesi si è fatta strada la necessità di avere organizzazioni sindacali indipendenti.

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 11 marzo 2020

Il movimento dei lavoratori nell’Albania contemporanea ha avuto un esordio eroico, ma si è poi velocemente spento. Tra il 1990 e 1991 infatti la vecchia struttura di potere della burocrazia stalinista crollò proprio sotto i colpi degli scioperi dei lavoratori delle aree urbane, i quali culminarono in un grande sciopero generale.
Tuttavia, la transizione verso la democrazia liberale non ha causato solo la ristrutturazione dell’economia ma anche la disgregazione rapida della forza lavoro e una prematura scomparsa del movimento di lavoratori. La privatizzazione feroce ha smantellato rapidamente l’ossatura industriale del paese producendo una massa di disoccupati. Come conseguenza della fine della classe operaia industriale che veniva sostituita da una moltitudine di lavoratori autonomi, o di dipendenti di piccole imprese familiari e precari, anche il movimento sindacale ha avuto una battuta d’arresto.

Per quasi tre decadi in Albania i sindacati confederali sono esistiti solo formalmente, del tutto privi di una base autentica. I loro vertici si sono trasformati in gruppi di interesse privati, grazie alla gestione del patrimonio che un tempo era proprietà collettiva dei lavoratori, come ad esempio gli hotel costieri. Dipendenti dai partiti politici e sottomessi a grandi imprenditori, i vecchi sindacati sono stati diligenti realizzatori della ristrutturazione neoliberale dell’economia.
Ma negli ultimi anni qualcosa sta cambiando. Una parte delle nuove forze economiche rafforzate dall’accumulazione di capitali ha iniziato a reinvestire nella produzione albanese, allo stesso tempo gli investitori stranieri si sono lanciati in alcuni settori come quello dei call center, delle banche private, o nel manifatturiero attraverso formule di subappalto.

Similmente, i continui fenomeni migratori hanno creato una forte domanda di lavoro all’interno del paese. Ed è in queste condizioni che tra i lavoratori albanesi si è fatta strada la necessità di avere organizzazioni sindacali indipendenti.
Il primo sindacato autonomo, chiamato «Solidariteti», si è formato all’inizio del 2019 all’interno del settore dei call center. In questo ambito sono impiegati molti giovani albanesi, principalmente studenti o laureati. Il lavoro nei call center una avuto la funzione sempre più centrale per gli studenti universitari come forma di sostentamento e di pagamento dei costi molto alti dell’istruzione, soprattutto nei centri urbani, come Tirana, dove il costo della vita è aumentato negli ultimi anni.

Dopo la laurea, la stragrande maggioranza dei giovani si trova a fronteggiare una disoccupazione permanente nel settore professionale attinente ai propri studi. Le alternative che gli si parano davanti sono l’emigrazione, al momento soprattutto verso la Germania, o la continuazione del lavoro al call center per il quale risultano essere iperqualificati. La frustrazione, le condizioni di lavoro dure e i salari bassi hanno spinto molti di loro a organizzarsi a livello sindacale. Dentro questo quadro nasce il sindacato «Solidariteti». Ma il più grande avanzamento nei conflitti sul lavoro in Albania è stato fato dai minatori con la creazione, nell’autunno 2019, del «Sindacato dei Minatori Uniti di Bulqizes». Nei dintorni di Bulqizes, un distretto dell’entroterra albanese, si trovano grandi riserve di cromo. Il principale corridoio di estrazione del minerale è stato preso in concessione dall’uomo più ricco del paese, quello che molti chiamano «l’oligarca» Samir Mane.

Mane è a capo di un impero economico che comprende fondi di investimento, imprese edili, miniere e catene di supermercati. Dal 2013 ha preso il controllo della miniera di Bulqizes, dove in pochi anni hanno perso la vita 8 minatori. In tutti i casi gli organi giudiziari hanno esonerato l’impresa da qualsiasi responsabilità nei decessi .
Allo stesso tempo al sua azienda mineraria «Albchrome» ha bloccato per diversi anni consecutivi i salari e infrangendo le norme di diritto del lavoro. Immediatamente dopo la creazione del nuovo sindacato l’impresa di Mane ha licenziato il segretario della neo costituita organizzazione, il minatore Elton Debreshi. I minatori sono entrati cosi in sciopero in solidarietà al loro collega, nel frattempo altre tre figure di spicco del nuovo sindacato sono state licenziate: Beqir Duriçin, Behar Gjimin e Ali Gjetën. Contemporaneamente l’azienda ha fatto pressione su centinaia di minatori affinché abbandonassero il nuovo sindacato.

Vale la pena sottolineare che il migliore alleato dell’azienda nell’opera di persecuzione dei minatori auto organizzati è stato uno dei sindacati storici, branchia di una delle più corrotte tra le formazioni confederali, «Konfederatës së Sindikatave të Shqipërisë». Questa organizzazione ha fornito le liste dei minatori che andavano licenziati, ha avallato i ricatti dell’impresa e ha preso parte alla campagna mediatica contro gli scioperanti.
Lo sciopero di diversi giorni e la resistenza dei minatori di Bulqizës hanno avuto una grande eco nella società e tra i lavoratori di altri settori, nonostanti i tentativi di Samir Mane di silenziare mediaticamente la vicenda. Nelle scorse settimane i dipendenti delle aziende petrolifere di Ballshit si sono mobilitati per chiedere stipendi arretrati e di essere reintegrati nel lavoro della raffineria che è sull’orlo del fallimento.

Questi conflitti hanno trovato solidarietà tra i soggetti più consapevoli e politicizzati della società. In particolare lo scontro tra Davide (i minatori) e Golia (Samir Mane) ha trovato sostegno tra i cittadini, soprattutto a Tirana. La precedente mobilitazione degli studenti, insieme a questi nuovi focolai di lotta, indicano al momento che una unione delle forze sociali più attive avrebbe le potenzialità per trasformare realmente il paese.

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