Da Zacara al Brahms di Kremer
Improvvisi Non esiste una notte in cui finisce il Medio Evo e una mattina in cui comincia il Rinascimento...
Improvvisi Non esiste una notte in cui finisce il Medio Evo e una mattina in cui comincia il Rinascimento...
L’esplosione dell’Ars Nova in Francia ebbe ripercussioni notevoli anche da noi con scambi intensi, una evoluzione complessa, e così tante figura significative – ancora se ne scoprono – da accreditare un vero e proprio slancio inventivo che conduce al Rinascimento e da lì alla modernità. Non esiste una notte in cui finisce il Medio Evo e una mattina in cui comincia il Rinascimento. Antonio Zacara da Teramo è un cantore e compositore, che per tutta la seconda metà del Trecento e i primi tre lustri del Quattrocento, partendo dalla natia Teramo, sotto l’influsso degli angioini, si sposta a Roma, al servizio di Bonifacio IX, Innocenzo VII e Gregorio XII, e poi a Bologna al servizio dell’Antipapa Giovanni XXIII. Del dissenso con la corte romana si coglie, forse, un riflesso in una sua ballata, Dime Fortuna poy che tu parlasti, registrata nel 4° cd di Enigma Fortuna Zacara da Teramo. Complete Works (Alpha 640, € 35,00) che Michele Pasotti ripropone insieme al suo gruppo La Fonte Musica.
Il contrappunto fa ricorso a tutti gli artifici dell’Ars Nova, un’Ars Subtilior di cui i musicisti menavano vanto. E proprio su questo punto dovrebbe soffermarsi l’ascoltatore di oggi: la nuova musica è sempre stata artificiosa, a rischio di esasperato intellettualismo, ma nulla di quegli artifici arriva all’ascoltatore. Arriva, invece, il piacere di un musica assai complessa, sperimentale quanto altre mai, e tuttavia gradevolissima. Corretta la scelta di affidare la polifonia a voci singole e non un a un coro. Restituisce appieno la pratica del tempo, come l’uso di strumenti che accompagnano le voci. Un lavoro filologico, quello di Pasotti, che rivela anche una grande fantasia musicale, e non mancherà di deliziare chi ama nella musica soprattutto, il piacere di riconoscervi un pensiero di complessa elaborazione. A ennesima dimostrazione del fatto che la nuova musica è sempre sperimentale, un altro cofanetto da segnalare è quello dedicato a un grande interprete di oggi: il violinista lettone Gidon Kremer, The Warner Collection (Warner Classics, € 57,60) dove si trovano raccolte tutte le incisioni realizzate per Teldec, Emi Classics, Erato, in 21 cd. Non si va più indietro di Beethoven. Tra i romantici Weber, Schumann e Brahms. Un Rossini (andante con variazioni). Un Cajkovskij, ma ristrumentato da Stravinskij. Poi solo compositori del Novecento. Molti russi, Schnittke il più frequentato, compositori lettoni (from my home), musiche per film (Rota, Milhaud, Šostakovich, Takemitsu, Chaplin, tra gli altri), Piazzolla. Kremer, che suona anche il jazz, non nasconde il suo rigetto per la separazione dei generi, e il suo amore per la musica di oggi. La cadenza del Concerto per violino di Beethoven sarà per qualcuno un pugno nello stomaco: una pagina di perfetto sperimentalismo avanguardistico novecentesco, composta dallo stesso Kremer.
Eppure a dirigere c’è Harnoncourt, colui che ha riproposto al pubblico di oggi la prassi strumentale barocca, illuministica, romantica, qui alla testa della Chamber Orchestra of Europe. Si capisce che un artista colto, ma a suo modo sperimentale, come Harnoncourt, abbia accettato la sfida. Beethoven oggi ci appare un classico solo perché sono passati due secoli; ma era un compositore tra i più sperimentali mai nati. Piaccia o non piaccia, come scrive Karl Kraus, «Un tempo la vecchia Vienna era nuova». Ci si abbandoni alla scoperta di letture nuove. La beethoveniana Sonata a Kreutzer è, per esempio, interpretata insieme a Martha Argerich: travolgente. Perfetta, inoltre, l’interpretazione di Bartók, sia le sonate per violino solo sia le sonate per pianoforte e violino. Se si preferisce naufragare in un’atmosfera rassicurante, avvolgente, ci si abbandoni al Concerto per violino di Brahms diretto da un Karajan in stato di grazia alla testa dei Berliner Philarmoniker. Era, a suo modo, anche quello di Karajan uno sperimentare nuovi spessori sonori, un leggere con l’orecchio del colossale sinfonismo tardoromantico e decadente la compostezza quasi cameristica dell’irrequieto Brahms, già presago della fine di un mondo.
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