Internazionale

Da Wadi al Humus parte la demolizione infinita

Da Wadi al Humus parte la demolizione infinitaUn bulldozer al lavoro sotto lo sguardo dei palestinesi – Afp

Sur Baher (Gerusalemme) Con il via libera della Corte Suprema, polizia ed esercito di Israele ieri hanno cominciato ad abbattere, con ruspe ed esplosivi, i 13 edifici palestinesi giudicati "pericolosi" perché vicini al Muro. Un precedente che rischia di aprire la strada a centinaia di demolizioni di case palestinesi

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 23 luglio 2019
Michele GiorgioGERUSALEMME

Un edificio avvolto in una nuvola di polvere e divorato dal braccio mobile di una enorme ruspa. Da lontano ieri mattina non si scorgeva più di questo a Wadi al Humus, rione orientale di Sur Baher, alla periferia meridionale di Gerusalemme. La polizia ha isolato la zona. Il grosso era avvenuto ore prima, poco dopo le tre, in piena notte, con il favore dell’oscurità mentre la città dormiva. Centinaia di agenti di polizia e della guardia di frontiera sono scesi dagli autobus e hanno circondato i primi tre dei 13 edifici palestinesi che saranno abbattuti nel quadro di demolizioni di massa di «strutture illegali» a ridosso del Muro israeliano tra Gerusalemme e la Cisgiordania. Tanti agenti per appena tre famiglie e una trentina di attivisti palestinesi, stranieri e israeliani di All That’s Left e del Movimento di solidarietà internazionale (Ism) giunti a sostenere di chi non voleva lasciare il proprio appartamento costato sudore, anni di sacrifici e di risparmi goccia a goccia. Intorno, ad una certa distanza, hanno osservato in silenzio i proprietari e i loro familiari (circa 350 persone) degli altri 10 edifici (70 appartamenti) non ancora abitati che saranno demoliti. Un’onda di dolore e rabbia ha coperto tutta Wadi al Humus.

 

Soldati israeliani in marcia verso i palazzi palestinesi in via di demolizione a Sur Baher, Gerusalemme est (Afp)

 

Gli Abu Hamed, con l’aiuto degli attivisti, hanno cercato di resistere tenendo chiusa la porta davanti agli agenti, alcuni dei quali avevano con il volto coperto come in una missione ad alto rischio e non in una operazione di sgombero di civili. Una volta entrati gli agenti non sono stati teneri. «Hanno cominciato a minacciarci, ci hanno spinto via come se fossimo dei pacchi e non delle persone» ha raccontato Tareq. Più o meno lo stesso è avvenuto a casa di Ismail Obeida dove si trovavano anche sette attivisti dell’Ism. Diversi i contusi e i feriti leggeri. Chris Richardson, giunto dalla Gran Bretagna, è stato colpito da una manganellata alla scapola. «Quando i soldati ci hanno trovato in bagno – riferisce – hanno lanciato candelotti di gas lacrimogeno. Abbiamo temuto di soffocare. Poi hanno sfondato la porta e ci hanno trascinato violentemente, per i piedi. Mi hanno preso a calci». Non è andata meglio a Bethany Rielly che dice di essere stata trascinata per i piedi lungo le scale. Nel pomeriggio i genieri dell’esercito hanno piazzato le cariche per far saltare un quarto edificio, ancora in costruzione. Poi sarà il turno di tutti gli altri, così come ha sancito la Corte Suprema israeliana in accoglimento pieno della tesi delle forze armate sulle pericolosità degli edifici, troppo «vicini» al Muro. Alcuni di quei palazzi sono stati costruiti nell’Area A della Cisgiordania, con permessi rilasciati dall’Autorità nazionale palestinese (Anp).

Wadi al Humus, 6mila abitanti, costituisce l’area di sviluppo di Sur Baher dominato dalla colonia israeliana di Har Homa, alle porte di Betlemme. Nel 2003 gli abitanti di Sur Baher hanno presentato una petizione alla Corte suprema contro il tracciato del Muro, fissato unilateralmente da Israele. La barriera fu spostata leggermente verso Est ma venne aggiunta un’altra recinzione intorno a Wadi al Humus che è fuori dai confini di Gerusalemme ed è parte dell’area A solo per la pianificazione. Privi di ogni servizio gli abitanti si sono dotati di una rete idrica con l’aiuto della vicina Beit Sahour e hanno asfaltato le strade a proprie spese. Poi nel dicembre del 2011 l’esercito israeliano, per ragioni «operative» ha proibito le costruzioni in una striscia di terra che varia da 100 a 300 metri su entrambi i lati del Muro, dichiarando in un solo colpo «illegali» 134 edifici palestinesi che nel 2019 sono diventati 231. La crescita demografica e il bisogno di nuove abitazioni ha spinto tante famiglie a sperare nel buon senso dei comandi militari israeliani. Niente da fare. La scure è calata. E un destino analogo potrebbe toccare altri sobborghi di Gerusalemme Est – Dahiat al Barid, Kafr Aqab e il campo profughi di Shuafat – e in altre parti della Cisgiordania come a Ram, Qalqiliya e Tulkarm con quartieri residenziali accanto al Muro. Un nuovo incubo che toglie il sonno a migliaia di persone.

«Ricostruiremo ciò che Israele ha demolito», promette il segretario dell’Olp Saeb Erekat mentre il presidente dell’Anp Abu Mazen denuncia un «massacro» compiuto da Israele ed è pronto a rivolgersi al Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Ma il mondo non muove un passo e sono rituali le critiche rivolte al governo Netanyahu da Onu, Ue e Francia.

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