Visioni

Da Victor Jara allo stadio-carcere di Manaus

Da Victor Jara allo stadio-carcere di ManausLo stadio di Manaus – Reuters

Palla al piede Non c’è peggiore idea, dal punto di vista simbolico e materiale, che trasformare uno stadio in un carcere. Il giudice Sabino Marques che ha proposto di convertire in galera lo […]

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 6 luglio 2014

Non c’è peggiore idea, dal punto di vista simbolico e materiale, che trasformare uno stadio in un carcere. Il giudice Sabino Marques che ha proposto di convertire in galera lo stadio di calcio di Manaus, dove l’Italia ha vinto la sua prima ma anche ultima partita al mundial brasiliano, somiglia un po’ a quei magistrati e politici nostrani che avrebbero voluto costruire le navi-prigione al largo dei porti industriali per fronteggiare il sovraffollamento. Fortunatamente non se ne fece nulla.

Stadi diventati grandi galere ne abbiamo già visti nel tempo. Chissà se il giudice Marques e le autorità amazzoni hanno mai letto la storia di Victor Jara. Era l’11 settembre del 1973 quando la marina militare occupò la città di Valparaiso. Siamo nel Cile di Allende che a breve diventerà il Cile del generale golpista Pinochet. Il risveglio dal sogno socialista fu uno stadio trasformato in carcere. Le migliaia di persone arrestate furono portate all’Estadio Nacional di Santiago che così divenne un vero e proprio campo di concentramento. Gli oppositori anti-fascisti erano trascinati con la forza nel campo, negli spogliatoi si consumavano torture e esecuzioni sommarie.

Tra le persone arrestate c’era anche Victor Jara che qualche anno prima aveva scritto la meravigliosa «Te recuerdo Amanda». Il cantautore cileno vi rimase per vari giorni, fino a quando il 16 di settembre fu ucciso barbaramente dai militari. Si racconta anche che nello stadio dove era prigioniero subì violenze alle mani in segno di sfregio al suo mestiere di suonatore. Si è detto che gli furono tagliate, che gli furono maciullate. La moglie Joan ha poi raccontato che quando ha visto il cadavere del marito c’erano evidenti segni di tortura, le mani non erano né tagliate né maciullate ma, lei dice, erano «distorte» in un modo strano. C’è purtroppo una canzone che non abbiamo mai potuto ascoltare, ed è quella che Victor Jara compose proprio all’interno dello stadio prima di morire. Di quella canzone ovviamente esiste solo il testo perché non ha mai potuto essere incisa (ne esiste una versione inglese fatta poi da Pete Seeger): «Siamo in cinquemila qui… diecimila mani che seminano e fanno marciare le fabbriche… in preda alla fame, al freddo, alla paura, al dolore, alla pressione morale, al terrore, alla pazzia… Che spavento fa il volto del fascismo!».

Dal settembre 2003, trent’anni dopo il colpo di stato, lo stadio di Santiago del Cile si chiama Stadio Victor Jara.

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