Da Strasburgo un monito ineludibile per la politica
Intervento Una censura netta e definitiva alla più renziana delle riforme: la cancellazione dell’articolo 18 per mano del jobs act.
Intervento Una censura netta e definitiva alla più renziana delle riforme: la cancellazione dell’articolo 18 per mano del jobs act.
Avviso ai sovranisti di sinistra: l’Europa può aiutare a tutelare i diritti dei lavoratori. Non c’è infatti soltanto l’Europa dei mercati e dei grigi ragionieri di Bruxelles, che chiede tagli alla spesa pubblica per far quadrare i nostri conti dissestati. C’è anche l’Europa dei diritti, che governi colpevolmente strabici di ogni colore quasi sempre fingono di non vedere. Da quest’Europa arriva una censura netta e definitiva alla più renziana delle riforme: la cancellazione dell’art. 18 per mano del Jobs Act.
L’affondo viene dal Comitato dei diritti sociali di Strasburgo, organo competente a vigilare sul rispetto della Carta sociale europea, la convenzione di diritto internazionale che fissa gli standard minimi di tutela per i lavoratori di tutti i paesi del continente. Rispondendo ad un reclamo presentato dalla Cgil, il Comitato (con una decisione adottata a settembre, ma pubblicata soltanto adesso) richiama il governo italiano al rispetto dell’art. 24 della Carta, norma che sancisce il diritto di ogni lavoratore ingiustamente licenziato di ricevere una tutela effettiva e realmente dissuasiva nei confronti del datore. Vale a dire che al lavoratore deve essere garantita la reintegrazione nel posto di lavoro oppure, se questa non è concretamente praticabile, un risarcimento commisurato al danno effettivamente subito, senza “tetti” di legge che limitino il potere del giudice nel quantificarlo. Da ciò l’inevitabile censura della legislazione italiana che esclude a priori la possibilità di essere reintegrati e fissa l’importo massimo dell’indennizzo erogabile al lavoratore: 36 mesi per i dipendenti di imprese medio-grandi, la miseria di 6 per quelli delle piccole imprese (cioè quasi la metà del totale della forza lavoro italiana).
La decisione del Comitato di Strasburgo è il secondo schiaffo alla riforma del 2015, già censurata dalla Corte costituzionale nel settembre 2018 (sentenza n. 194) perché predeterminava l’indennizzo in base all’unico e rigido criterio dell’anzianità di servizio. Secondo gli standard del diritto internazionale questo però non basta. E’ necessario ripristinare un principio di civiltà, che non vale solo per i lavoratori ma per chiunque sia danneggiato da un illecito comportamento altrui: non possono esserci limiti al diritto di ottenere il pieno ristoro del danno subito per l’ingiusta perdita del posto di lavoro.
Anni e anni a disquisire dell’anomalia italiana di un mercato del lavoro troppo rigido, di “insider” iper-tutelati a tutto svantaggio degli “outsider”, di vecchi egoisti contro giovani bamboccioni, di mercati internazionali che ci impongono di cancellare quell’assurdo fossile del passato rappresentato dall’art. 18; per poi scoprire che, per il diritto internazionale, il fossile del passato è rappresentato dal modernissimo Jobs act e che la vera anomalia italiana sono le deboli tutele assicurate agli insider, esposti al costante rischio di perdere il posto di lavoro. Ci voleva Strasburgo per ricordare a legislatori nazionali incantati da dogmi neo-liberisti che insider e outsider, giovani e vecchi, sono ormai accomunicati dalla stessa condizione di precarietà, perché la precarietà del lavoro dipende dal potere arbitrario che le scellerate riforme degli ultimi decenni hanno consegnato in mano alle imprese togliendo ai lavoratori ogni strumento per difendersi, in nome della ricattatoria logica dello scambio tra diritti e occupazione.
L’eco della decisione del Comitato europeo arriva anche oltr’Alpe, dove si attende a breve un’analoga censura per la riforma Macron, fotocopia di quella renziana. Resta da vedere adesso cosa intenderanno fare i politici nostrani. Le decisioni del Comitato di Strasburgo (al contrario delle sentenze della Corte di giustizia) non sono giuridicamente vincolanti ed al più possono essere utilizzate dai giudici nazionali per “reinterpretare” la normativa vigente. Sono però un monito ineludibile per la politica. Non si tratta neppure di fare qualcosa di sinistra, ma soltanto di fare qualcosa per rispettare il diritto internazionale: ripensare la disciplina del licenziamento non domandandosi quale sia il regime più favorevole per le imprese, ma quali siano le tutele più adeguate per i lavoratori. La via da seguire è semplice ed è il ripristino dell’art.18. Qualcuno a Roma ha intenzione di imboccarla?
*Università di Siena
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento