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Da Spinelli a Juncker, opposte mappe dell’Europa

Da Spinelli a Juncker, opposte mappe dell’Europa

Unione Il fertile travaso dal Manifesto di Ventotene agli articoli della nostra Costituzione. Poi il salto neoliberista del Patto di Roma che ha prodotto i Trattati di oggi. Occorre una fase di disobbedienza

Pubblicato circa 8 anni faEdizione del 15 settembre 2016

Nelle prime pagine del capitolo “Per un’Europa libera e unita” del Manifesto di Ventotene di Spinelli, Rossi e Colorni sembra di leggere i principi fondativi della nostra Carta costituzionale, ai suoi articoli fondamentali.

Vi è il richiamo ai limiti all’iniziativa economica dei privati, agli argini che ad essa vanno posti per garantire che l’impresa privata non rechi danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana (art. 41); alla funzione sociale della proprietà (art. 42); al ruolo strategico da attribuire alle imprese pubbliche per impedire i grandi monopoli privati e lo sfruttamento degli operai (art. 43); alla necessità di una riforma agraria che imponga obblighi e vincoli alla proprietà terriera (art. 44); alla funzione sociale della cooperazione (art. 45) ed al coinvolgimento degli operai nella gestione delle aziende (46).

L’essenza della c.d. Costituzione economica del 1948, il progetto ed i suoi obiettivi più profondi, li si trovano nelle pagine del Manifesto di Ventotene, con l’affermazione dei diritti sociali sul piano dell’effettività, segnando la differenza tra democrazia formale e democrazia sostanziale.

I giovani, si legge nel Manifesto, secondo una visione dei diritti sociali non meramente programmatica, vanno assistiti con le provvidenze necessarie per ridurre al minimo le distanze fra le posizioni di partenza nella lotta per la vita. Bene: la visione sostanziale della democrazia di Spinelli sarà poi trasposta negli articoli 2 e 3 della Costituzione (solidarietà sociale, eguaglianza sostanziale).

Ancora, sempre nel Manifesto, la scuola pubblica (art. 33 Cost., altro che “Buona Scuola”) costituisce l’elemento decisivo per l’attuazione dello Stato sociale, infatti essa dovrà dare le possibilità effettive di proseguire gli studi fino ai gradi superiori ai più idonei, piuttosto che ai più ricchi, attraverso borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze (art. 34 Cost.). Al fine di consentire anche agli ultimi di poter ambire ad un lavoro che li dia diritto ad una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa (art. 36).

A questo punto, c’è da domandarsi ma cosa c’entra Il Manifesto di Ventotene, l’Europa di Spinelli con i Trattati di Roma del 1957, con Maastricht, con la carta di Nizza, con Lisbona e con tutto quel diritto europeo mercantile elaborato negli anni. La risposta è semplice: nulla. Piuttosto, il Manifesto di Ventotene ha innervato il processo Costituente (1946-1947) e tutta la fase legislativa tesa ad affermare i principi portanti dello Stato sociale.

Il neoliberismo è l’essenza stessa del patto di Roma del ’57, e ancor più, dei suoi atti successivi, pertanto liberare la Ue dal pensiero e dell’azione neoliberista, come dice Varoufakis su queste pagine, sarebbe un po’ come divorare sé stessa. Le dichiarazioni roboanti del presidente del consiglio, con le quali afferma la necessità di un ritorno all’Europa di Spinelli, ignorano che quell’Europa non c’è mai stata.
Il Manifesto di Ventotene sta tutto nella nostra Carta costituzionale, continuamente bistrattata proprio dal diritto europeo, al punto che alcuni giuristi e la Corte costituzionale hanno dovuto inventarsi la teoria dei contro limiti, ovvero il ricorso ad una teoria a difesa dei nostri principi costituzionali, ogni qualvolta il diritto europeo fosse regressivo sul piano della tutela dei diritti.

Una politica di legittima difesa, non sufficiente tuttavia ad impedire la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio e dell’affermazione del valore del mercato in sé, tale da penetrare nel nostro sistema, facendo prevalere la libertà di concorrenza e l’economia di mercato sull’utilità e solidarietà sociale.

L’Unione europea nasce dalle idee del libero mercato e dell’affermazione del principio di concorrenza e trova le sue radici nel pensiero ordoliberale, essa è il campo di sperimentazione di queste teorie, nel quale l’iniziativa dei privati può far fronte ai rischi individuali e collettivi in maniera più efficace rispetto all’intervento perequativo del welfare, l’European Economic Constitution, non c’entra nulla con il Manifesto di Ventotene e con il nostro modello sociale.

Monta nel dibattito politico ed istituzionale attuale la necessità illusoria di un passaggio dell’Unione europea da una dimensione mercantile ad altra di carattere politico -sociale, caratterizzata dalla presenza più attiva di organizzazioni politiche e sociali, e soprattutto di strumenti di democrazia diretta e partecipativa. Ma più che liberare l’Unione europea dal neoliberismo, che ne costituisce la sua mappatura genetica, è necessaria la rifondazione dell’Europa e l’affermazione di una Democratic Economic Constitution, tale da rifarsi realmente al Manifesto di Ventotene.

Questo processo fondativo, non potrà realizzarsi attraverso l’euroriformismo standard praticato dai socialdemocratici , ma piuttosto dovrà attuarsi in due fasi: la prima (fase destruens) di ribellione e rottura, così come proposta nella posizione del DIEm25, la seconda (fase construens), utilizzando la resistenza, il conflitto come fondamento delle istituzioni. Il processo fondativo passa attraverso le esperienze di autogoverno e autorappresentazione, come ricorda l’Arendt, ponendo in essere, da parte di comunità diffuse e mobili, fatti contra legem, espressione di un«a discrasia tra ordinamento legale e coscienza sociale, di una realtà giuridica libera, vivente o in via di formazione. La spinta abrogratrice della consuetudine contra legem, la sua forza innovatrice, al di là del dibattito formale sull’esistenza o meno del demos europeo e dell’ipocrisia della democrazia della rappresentanza, troverà la sua forza nella effettiva sovranità popolare delle comunità, che nulla ha in comune con la sovranità statuale o istituzionale.

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