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Da Rockfeller a Gates, l’anima oscura del filantrocapitalismo

Da Rockfeller a Gates, l’anima  oscura del filantrocapitalismo

Il filantropo, che accresce le sue ricchezze nelle stesse piaghe di un sistema a lui funzionale e vitale, si erge, oggi più che mai, a paladino dell’umanità, autoproclamandosi unica alternativa […]

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 19 novembre 2020

Il filantropo, che accresce le sue ricchezze nelle stesse piaghe di un sistema a lui funzionale e vitale, si erge, oggi più che mai, a paladino dell’umanità, autoproclamandosi unica alternativa plausibile ai governi democratici lenti, macchinosi e inefficienti.

Una figura decisionista, portatrice e venditrice di storie di successo, ammaliatrice e scarsamente incline alle critiche convinta, soprattutto, che i poveri del mondo abbiano maggior bisogno della sua carità piuttosto che di giustizia economica e sociale. L’emergere di questa figura non offre però una soluzione alle miserie di un sistema politico ed economico a cui è strettamente legato, ma costituisce piuttosto l’ultima degenerazione di quel sistema stesso basato sull’accumulazione delle risorse e oramai incapace anche solo di pensare a criteri alternativi di redistribuzione e di giustizia sociale.

Il benessere, così come la povertà, può solo essere elargito dall’alto, da coloro i quali si ritengono i padroni del mondo.

Il filantropo costituisce allora un ingranaggio essenziale nella polimorfe macchina della globalizzazione, una colonna portante dello stesso sistema capitalista che incarica entità private di utilizzare parte delle ricchezze accumulate ai danni dei poveri del pianeta per allestire una facciata attraente, quasi accettabile ed eticamente spendibile.

Ma le buone azioni riparatorie si basano su strategie win-win che, nel linguaggio del capitale, si traducono in partnership pubblico-private, apertura di nuovi mercati e possibilità di proficui investimenti per le aziende che magari hanno finanziato le stesse azioni filantropiche. Se poi si riuscisse a tramutare un povero in un cliente, il gioco sarebbe da considerarsi perfettamente riuscito.

Una volta comprese le logiche alla base dell’operato delle fondazioni è possibile individuarne piani e obiettivi. Quello che rimane più difficile da comprendere, o perlomeno da accettare, è l’atteggiamento dei governi che, di fronte all’arroganza di queste entità, continuano a indietreggiare lasciando sul campo importanti pezzi di democrazia.

Non solo: le agevolazioni fiscali e gli aiuti diretti ai programmi delle fondazioni sanciscono la definitiva resa dei contribuenti che si trovano a pagare di tasca propria iniziative su cui non è previsto alcun controllo democratico.

La condotta di molti filantropi nei confronti degli stati è, nonostante ciò, tutt’altro che irreprensibile: è il caso di Microsoft che, attraverso il ricorso ai paradisi fiscali, ha causato un danno erariale superiore agli investimenti filantropici del suo stesso fondatore, Bill Gates.

Ricchi e buoni? Le trame oscure del filantrocapitalismo di Nicoletta Dentico (la prefazione è di Vandana Shiva) ripercorre la storia del filantropismo da Rockefeller fino ai giorni nostri, fino a Bill Gates a cui è dedicata una corposa sezione.

Quella della fondazione di Gates è un’azione tentacolare e all’avanguardia che coinvolge, fra gli altri, i settori dell’agricoltura, della medicina, della biotecnologia, dell’educazione e dell’informazione.

L’autrice sfugge da ogni dietrologia o teoria complottista puntando il mirino verso un sistema che permette a un singolo individuo di incamerare una quantità inimmaginabile di ricchezze mettendolo nella posizione di influenzare le politiche pubbliche internazionali con il semplice gesto di aprire il proprio portafogli.

D’altra parte Bill Gates, personalmente più ricco di 45 dei 48 paesi dell’Africa subsahariana, è in buona compagnia: Warren Buffet, Ted Turner, Bill Clinton, Jeff Bezos, Mark Zuckerberg sono solo alcuni dei novelli filantropi pronti a elargire parte dei loro averi affinché il pavimento sui cui hanno piazzato la loro comoda poltrona non si sgretoli sotto i loro piedi.

Un rischio effettivo, secondo Dentico, in un epoca in cui le fondazioni filantropiche si arrogano il diritto di risolvere questioni che hanno una dimensione esclusivamente politica.

Ma forse, è proprio la dimensione della soluzione politica a rappresentare il più grande incubo del capitalismo che ricorre all’azione filantropica anche per scongiurare tale esecrabile deriva.

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