Cultura

Da Perugia all’Adriatico, nella provvisorietà della vita

Da Perugia all’Adriatico, nella provvisorietà della vitaJacob Lawrence's Migration Series

NARRAZIONI «E Baboucar guidava la fila», di Giovanni Dozzini pubblicato da minimum fax

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 1 marzo 2019

Baboucar, Ousman, Yaya e Robert, sono quattro richiedenti asilo africani, del Gambia, Nigeria, Costa d’Avorio, quattro dei tanti che camminano nomadi per le nostre piccole o grandi città, si spostano a piedi flessuosi, o inforcano biciclette, giovani che puoi incontrare ogni giorno in attesa pazienti – e spesso sorridenti – alle fermate degli autobus.

DI LORO, del passato e dei sogni, i drammi e le gioie, le crisi, i viaggi disperati nel Mediterraneo, non si sa niente. Finiti gli sbarchi, superate le frontiere, arrivati a destinazione, entrati nell’oblio della normalità, è come se fossero cancellati, tornando all’onore delle cronache solo quando qualcuno li aggredisce, delinquono, si tolgono la vita, o sono sfruttati da spietati caporali nei luoghi di lavoro. Adesso, questi invisibili hanno il loro romanzo che prende il nome da uno di loro, E Baboucar guidava la fila (minimum fax, pp. 165, euro 15), scritto da Giovanni Dozzini, che colma un vuoto, innanzitutto, e li racconta nel modo più onesto. La prima cosa che colpisce, infatti, di questo libro, è la narrazione ondivaga, la mescolanza degli incontri, gli intrecci e i deragliamenti improvvisi della vita vera, ben diversi dalle convenzioni romanzesche, la precarietà della condizione umana di chi adesso e da sempre fugge da guerre, persecuzioni, violenze e ne porta i segni sulla pelle.

Qui tutto scorre con naturalezza in un flusso che mette insieme scrittura e vita, ritmi della narrazione e quelli di esistenze colte nella realtà provvisoria e sospesa di due giorni che sembrano infiniti, vissuti in una provincia italiana lunare e lirica, fatta di paesaggi che vanno dall’armoniosa campagna umbra al mare Adriatico marchigiano, fino alla lugubre raffineria di petrolio dell’Api di Falconara Marittima, dove i quattro amici arriveranno con i treni delle ferrovie locali.

COME MOLTE NARRAZIONI realiste, il romanzo è in presa diretta, i movimenti dei personaggi sono scanditi attraverso dialoghi serrati, coniati nel parlato della quotidianità, spesso volutamente approssimativo e ibridato, con un forte effetto di verità frutto di un accurato lavoro di rielaborazione e invenzione. Catapultati in questa terrestrità di nessuno, fatta di oggetti, strade, stazioni, ma anche dentro il mondo virtuale degli smartphone che li collega al Villaggio globale facendoli sentire meno stranieri, i personaggi del libro vanno, questa è la loro prerogativa, ingannando il tempo, parlando con la gente, soprattutto dei loro paesi di origine, delle guerre africane, dell’Isis, e s’imbattono in carabinieri, pescatori, bagnanti, e ogni incontro con l’altro è una rivelazione, un conflitto latente o che si scatena, ma i conflitti sono anche interni al gruppo, e interiori. Niente di clamoroso, nessun colpo di scena, drammatizzazione o deragliamento nell’acme della finzione romanzesca ma solo il referto fedele del loro quotidiano, l’epica minore raccontata con rigore e realismo.

QUELLO DI DOZZINI è romanzo della realtà che sembra ispirato dai reportage di Alessandro Leogrande, l’autore di quel piccolo classico che è La frontiera, un Aspettando Godot contemporaneo, scandito in un tempo che è quello dell’Africa che, come scriveva Kapuscinski: «è di una categoria molto più flessibile, aperta, elastica, soggettiva. È l’uomo che influisce sulla forma, sul corso e sul ritmo del tempo. Il tempo è addirittura qualcosa che l’uomo può creare».
Come il palinsesto esistenziale che creano insieme i personaggi di questo romanzo, camminando, camminando e spostandosi con speranza, paura, e un pizzico di nostalgia, in una terra straniera e verso l’ignoto futuro.

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