Cultura

Da Ghirri a Saul Leiter, ossessione fotografica

Da Ghirri a Saul Leiter, ossessione fotograficaLeiter, «United, San Carlo Restaurant 3rd Avenue and 10th Street», 1950 Collection Bachelot © SLF, Courtesy Howard Greenberg gallery NY

Appuntamenti «Collection», la mostra sulla raccolta Bachelot. Le immagini sono ai sali d’argento, cromogeniche o ai pigmenti di carbone

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 24 dicembre 2022

Da poco superato il nuovo millennio, quando il digitale si è ormai insinuato nelle certezze della tradizionale tecnica e del linguaggio della fotografia analogica, i francesi Florence e Damien Bachelot scoprono un mondo che sentono appartenere loro: quello del collezionismo. Per l’esattezza il primo nucleo di stampe, all’inizio degli anni 2000, era proprietà aziendale del gruppo Aforge di cui facevano parte i soci Claude Garnier, Jean-Pascal Mahieu, Yves Hervieu-Causse con Damien Bachelot, ma dal 2009 con l’acquisizione delle altre quote, la collezione diventa esclusivamente un progetto familiare.

DA ALLORA, i coniugi Bachelot con consapevolezza crescente costituiscono una delle più importanti collezioni private di fotografia in Francia. L’unicum è rappresentato dall’attenzione alla qualità delle stampe, quasi esclusivamente ai sali d’argento, cromogeniche o ai pigmenti di carbone nelle tirature originali, edizioni limitate o prove di stampa.

Quanto al focalizzare l’attenzione su temi legati alla fotografia umanistica e sociale è certamente lo specchio di un approccio personale che, puntando a un orizzonte più ampio, coglie aspetti di una storia che riguarda l’intera collettività. La mostra Collection: 150 fotografie della collezione Bachelot, curata da Sam Stourdzé all’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici di Roma (fino al 26 febbraio 2023), accompagnata dal catalogo edito da Maison CF con i testi dello storico della fotografia Michel Poivert (edizioni Clémentine de la Féronnière) è il viaggio tra quest’incrocio di sguardi. «Sul piano estetico, la scelta è stata estremamente facile. La fotografia umanistica corrisponde perfettamente alle nostre aspirazioni sociali e morali più profonde. Fino a oggi abbiamo continuato in questa ricerca di significato e di qualità, che pone l’uomo e le grandi questioni sociali e umane al centro della nostra raccolta», affermano i collezionisti nella conversazione con Poivert pubblicata nel catalogo.

DA ROBERT DOISNEAU con i suoi scatti di vita quotidiana in parte «messa in posa» a Édouard Boubat, Gilles Caron, Sabine Weiss, Willy Ronis, Gyula Halász (Brassaï) e Henri Cartier-Bresson, tra loro anche Janine Niépce (lontana parente dell’inventore francese Nicéphore Niépce autore nel 1826-27 di Point de vue du Gras, primo esempio di immagine fotografica fissata permanentemente) che è stata membro della resistenza e tra le prime fotogiornaliste francesi, particolarmente attiva negli anni ’70 a sostegno del Movimento di Liberazione delle Donne soprattutto per le battaglie su contraccezione, aborto e parità salariale.

Senza perdere di vista le ricerche di autori italiani come Luigi Ghirri con foto della serie Atelier Morandi, Grizzana e Mario Giacomelli con L’infinito di Giacomo Leopardi e Presa di coscienza sulla natura, il migliaio di stampe della collezione Bachelot comprende anche un nucleo di fotografie documentarie di fotografi americani come Dave Heath, Dorothea Lange, Helen Levitt (intenso il suo Ragazzo con la pistola del ’42), Paul Strand, Robert Frank, William Eugene Smith, Diane Arbus, Susan Meiselas, Paul Fusco con i notissimi scatti di Funeral Train, incluso il grande sperimentatore modernista Ray K. Metzker che amava definirsi «un intellettuale vagabondo».

QUANTO AI LAVORI di fotografi e artisti visivi contemporanei, l’attenzione dei collezionisti è puntata verso Luc Delahaye, Mohamed Bourouissa, Véronique Ellena e Laura Henno: di quest’ultima l’antica cisterna di Villa Medici ospita un focus con fotografie e video. Ma è soprattutto a Saul Leiter, figlio di un rabbino ortodosso di Pittsburgh, riconosciuto interprete di un nuovo linguaggio della street photography a colori (è nota la sua frase: «Non ho una filosofia, ho una macchina fotografica») che Florence e Damien Bachelot hanno dedicato grande attenzione, collezionando una serie di straordinarie stampe Cibachrome vintage che dalla fine degli anni ’40 abbracciano il decennio successivo.

La loro conoscenza dell’artista – che definiscono «la quintessenza del genio creativo» – risale all’ultimo periodo della sua vita: «siamo stati subito conquistati dal suo genio, ma anche dall’uomo saggio e inusuale qual era».

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