Da Fornero a Poletti: così si crea la precarietà in Italia
Lavoro I dati del ministero del lavoro dal 2012 al 2014 dimostrano come le riforme del mercato del lavoro decise dai governi dell'austerità hanno aumento i precari senza diminuire la disoccupazione né generare la crescita. Uno sguardo al meccanismo della "precarietà espansiva" per capire i risultati del Jobs Act di Renzi ispirato alla stessa logica
Lavoro I dati del ministero del lavoro dal 2012 al 2014 dimostrano come le riforme del mercato del lavoro decise dai governi dell'austerità hanno aumento i precari senza diminuire la disoccupazione né generare la crescita. Uno sguardo al meccanismo della "precarietà espansiva" per capire i risultati del Jobs Act di Renzi ispirato alla stessa logica
Tre anni di riforme del lavoro che hanno aumentato la precarietà. I dati sull’andamento dei flussi contrattuali contenuti nel rapporto pubblicato ieri dal Ministero del Lavoro, relativi al periodo 2012-2014, sono una miniera di informazioni sul mercato del lavoro italiano. Su questa base è possibile fare un bilancio dei risultati delle riforme del lavoro – quella Fornero e in parte il Decreto Poletti sui contratti a termine fino all’ultimo semestre dello scorso anno – che hanno aumentato la precarietà senza produrre né crescita né occupazione. Questo meccanismo, definito dall’economista Emiliano Brancaccio «precarietà espansiva», è utile per compredere gli effetti futuri del Jobs Act di Renzi, un provvedimento che replica la logica dei precedenti.
La stabilità formale del contratto non garantisce la continuità dei rapporti di lavoro: il 41% dei contratti a tempo indeterminato, trasformati nel 2012, sono infatti cessati entro il 2014. La stessa percentuale in proporzione si ritrova anche nel 2013 e nel 2014, a riprova che la Riforma Fornero ha influito solo sul tasso di precarietà. La durata dei contratti continua inesorabilmente a diminuire: i rapporti di lavoro che non superano il mese di attività aumentano, mentre quelli di durata oltre i quattro mesi sono in costante diminuzione. Fenomeno che riguarda tutti i settori del lavoro. Guardando al focus sul 2014 del rapporto, esso interessa principalmente l’amministrazione pubblica. In questo settore, infatti, la durata non supera il mese solare per il 56% dei contratti. Una situazione evidente nel settore dell’istruzione e negli altri servizi pubblici, sociali e personali dove oltre il 62% dei contratti cessati ha avuto una durata inferiore a 30 giorni e solo il 3,1% oltre i dodici mesi. Questi dati dimostrano che la svalutazione del lavoro e dei diritti riguarda tutti, anche coloro che fino a ieri si pensava fossero protetti dalle regole del pubblico e/o dal sindacato.
L’andamento dei contratti di lavoro, al netto delle cessazioni nel periodo 2012-2014, è altalenante. Considerando il numero totale di rapporti netti si nota un apparente miglioramento nel triennio. Tuttavia, i due periodi immediatamente successivi alle ultime riforme, cioè l’ultimo semestre del 2012 successivo alla riforma Fornero e l’ultimo trimestre del 2014 successivo all’introduzione del decreto Poletti, sono quelli in cui i contratti netti hanno subìto una caduta maggiore nel confronto a parità di trimestre tenendo conto dei fenomeni di stagionalità che caratterizzano i periodi dell’anno.
Dai dati a disposizione non è possibile dire cosa abbia indotto questo comportamento da parte delle imprese. Da un lato, si aspettavano una ripresa generale, che non è mai arrivata data l’assenza di politiche pubbliche a favore della domanda aggregata. Dall’altro lato, è lecito sostenere che i datori di lavoro credevano in altri interventi a loro favore, arrivati con la legge di stabilità del 2014 ma non con quella del 2013 durante il governo Letta. È certo che la dinamica dei contratti non dice nulla sullo stato del mercato del lavoro se svincolata dal numero dei lavoratori interessati.
È un bagno di realtà per tutti quelli che usano i contratti per fini propagandistici. Un’analisi un po’ più approfondita suggerisce che, al netto delle cessazioni, mentre i contratti aumentano il numero di lavoratori interessati diminuisce. La disoccupazione coerentemente mostra invece una dinamica positiva sul periodo. Appare utile soffermarsi sull’andamento delle trasformazioni di contratti da tempo determinato a indeterminato. Durante il triennio, per ottenere un’apparente stabilizzazione bisogna esser stati precari, ma con moderazione: la probabilità di ottenere contratto standard è più alta se il contratto a termine aveva durata tra i quattro e dodici mesi, mentre coloro che iniziano con un contratto di durata oltre l’anno, la probabilità dievadere dalla precarietà si riduce drasticamente tra il 2012 e la fine del 2014. L’assenza di informazioni sui trimestri non permette di capire se la dinamica sia o meno influenzata dagli annunci dell’ultima legge di stabilità sugli sgravi che, a guardare i dati sui contratti, pare aver frenato la dinamica in espansione dell’ultimo trimestre del 2014 segnando un netto calo di contratti, ma anche di occupati.
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