La letteratura per l’infanzia è da sempre oggetto di pregiudizi, o perlomeno il suo destinatario ideale, cioè il mondo dei bambini, produce nel lettore adulto uno sguardo di diffidenza, una fredda distanza o una improvvisa regressione che dura il tempo di un ricordo. L’ultimo libro di Walter Fochesato, Raccontare la guerra I libri per bambini e ragazzi che bisogna conoscere, riedito e aggiornato a distanza di undici anni per l’editore Interlinea (pp. 309, euro 22,00), ha l’indubbio pregio di intessere un percorso originale nell’ampia e variegata messe di opere dedicate alla guerra, offrendo al lettore un quantomai indispensabile strumento di navigazione. Costituirebbe questo di per sé un valido motivo di invito alla lettura, se non si aggiungesse anche la pregevole volontà, dichiarata sin dalle prime pagine, di voler mostrare come la letteratura per ragazzi permetta di comprendere meglio di tanti manuali di storia l’insensatezza della guerra, di qualsiasi guerra, non mediante una vacua perorazione per la pace, quanto grazie all’esame approfondito del conflitto stesso, dall’interno, da cui emerge la prepotenza che annichilisce il fragile corpo dell’infanzia.

Sono stati i diversi dittatori (Hitler, Stalin, Franco, Mussolini) che si sono affaccendati nel mondo dei grandi a sottrarre il coniglio rosa: un peluche di per sé insignificante, che, strappato agli occhi dei fratelli Anna e Max, durante una confisca dei beni di famiglia, si trasforma in potente simbolo dell’infrazione dei sogni, dell’infanzia, della libertà. Storia tra le storie raccolte da Fochesato, la vicenda dei due fratelli che è al centro dell’opera Quando Hitler rubò il coniglio rosa (1971) nasce dalla personale esperienza biografica della scrittrice e illustratrice Judith Kerr, costretta all’indomani dell’ascesa al potere del nazismo a lasciare insieme alla famiglia Berlino e la Germania, a rifugiarsi prima in Svizzera, poi in Inghilterra per motivi politici e religiosi.

Le pagine di Fochesato non si fermano però al secondo conflitto mondiale, la sua è una storia della letteratura di guerra scritta per i giovani, e insieme vista coi loro occhi, seguendo un’ampia cronologia che dall’Unità d’Italia conduce fino ai giorni nostri. L’autore non trascura pertanto i racconti sulla Grande guerra, sull’imperialismo italiano in Africa, e sulla Resistenza, osservata ad esempio con gli occhi del giovane Pin, il personaggio nato dalla penna di Italo Calvino, nel Sentiero dei nidi di ragno. Ma è con Cuore di Edmondo De Amicis (1886) che Fochesato avvia il suo racconto, perché la vicenda di Enrico Bottini, letta da generazioni di italiani, è brace per il processo di unificazione culturale della nazione. La sua esemplarità istituisce un vivace confronto tra la disciplina scolastica e quella militare, suggerendo l’idea, còlta da diversi commentatori del libro, di una rigida eduzione civica che può anche condurre al sacrificio per la patria quale massima aspirazione del fanciullo, degno prosecutore dell’eroica mitologia risorgimentale.

Gli ultimi due capitoli sono incentrati sul rapporto che questo genere di letteratura ha sempre intrattenuto con le arti visive. È, in particolare, con l’analisi del capolavoro Maus di Art Spiegelman, edito per Einaudi nel 2010, che Enrico Macchiavello firma l’ultimo capitolo del libro di Fochesato. Lo sterminio degli ebrei viene riletto dal geniale fumettista alla luce dell’esperienza concentrazionaria dei suoi stessi genitori, sopravvissuti miracolosamente alla prigionia nel campo di Auschwitz-Birkenau. Come noto, i personaggi dell’opera sono animali dai tratti antropomorfi: i topi sono gli ebrei, i gatti i tedeschi e i maiali i polacchi, mentre gli americani sono i cani. Ma pur nell’estrema trasfigurazione, l’invito della letteratura per bambini e ragazzi rimane sempre lo stesso: occorre ricordarsi che a perpetrare quei crimini atroci così come le guerre, qualsiasi guerra, sono stati degli esseri umani a discapito di altri esseri umani. E che la letteratura aiuta, se non agevola, sempre, il processo di comprensione perché spiega quanto sarebbe altrimenti privo di significato.