«Da Bruxelles prima breccia nel muro europeo»
Il commento Per il responsabile immigrazione e asilo dell'Arci le parole del presidente della commissione europea non vanno lasciate cadere
Il commento Per il responsabile immigrazione e asilo dell'Arci le parole del presidente della commissione europea non vanno lasciate cadere
Si continua a morire come bestie in questa Europa sempre più inutile e sempre più in balia di ciò che accade oltre i suoi confini. Nonostante ciò i commenti delle forze politiche nostrane non si smuovono dal solito, banale dibattito: si spazia dal razzismo all’immobilismo, con una buone dose di provincialismo a fare da cornice. Il tutto a conferma della perfetta inutilità della politica italiana. Spiace nuovamente constatarlo ma è così, soprattutto se si parla d’immigrazione. E di rispetto dei diritti fondamentali. A nulla servono le promesse e le battute del presidente Renzi. Ma è l’Europa a darci l’occasione per dibattere. Credibili o non credibili, le parole del presidente Juncker hanno interrotto un lungo sonno e una omertà insopportabile.
A dire il vero sono serviti altri morti asfissiati in una stiva nel Mediterraneo e su un furgone nella civilissima Austria per far uscire allo scoperto i nostri governanti europei. Si è “scoperto” così che si muore anche sulle autostrade, non solo in mare e non solo in Italia e Grecia. «L’Europa in cui voglio vivere non è quella dei muri» è stata la frase pronunciata in pompa magna nei giorni scorsi, con annesso attacco all’egoismo (populismo) degli stati membri. Che diamine, Juncker si è ricordato finalmente che la stragrande maggioranza delle persone in arrivo in Europa fugge da guerre, dittature o carestie. Sessanta milioni di persone secondo i dati del rapporto Unhcr di cui, è bene ricordarlo, solo una minima parte viene accolta nel vecchio continente.
Dove sta dunque il corto circuito tra le parole di Juncker, la realtà dei fatti e le (non) scelte dell’Europa fino ad oggi? Vi è prima di tutto un vizio culturale da abbattere e che ha fatto germogliare il populismo e il razzismo di buona parte dell’opinione pubblica europea in questi anni. E’ quell’idea di fondo che l’immigrazione sia esclusivamente un problema legato alla sicurezza, un fenomeno da contenere (e possibilmente respingere) perché incapace di portare positività e sviluppo. Un approccio diametralmente opposto – come ci ha ricordato Agnes Heller nelle settimane scorse – a quello, ad esempio, degli Stati Uniti, dove, in una notte, Obama ha regolarizzato oltre tre milioni di uomini e donne fino a quel momento «irregolari». E’ quella vecchia idea che chi arriva toglie a chi già c’è, senza ricordarsi che in Italia ogni 9 nascite dieci sono i decessi e il rischio demografico rimane dietro l’angolo. Sono poi gli atti concreti come il passaggio dall’operazione Mare Nostrum (salvataggio e soccorso) a Frontex (difesa dei confini) a sancire questa immagine di chi arriva e a permettere ai predicatori d’odio di diffondersi e moltiplicarsi. E quindi a rafforzare nell’immaginario comune l’idea di una guerra in corso tra noi e il resto del mondo. Per non parlare della sempre più evidente debolezza delle democrazie europee che appaiono succubi delle volgarità razzista. Un dato su cui riflettere, pena il collasso di quella civiltà sbandierata e usata per esportare democrazia altrove.
Ma vi è in tutto questo un aspetto positivo, da rilanciare con forza, nelle parole di Juncker; è la prima voce autorevole (se si esclude il Papa) che prende la parola contro l’egoismo degli Stati europei e contro i rischi per la nostra democrazia. Alle quali, bontà sua, si è unito anche Ban Ki Moon.
Non è un passaggio da poco in questa fase politica e non è pensabile che il movimento antirazzista europeo possa permettersi il lusso di lasciar cadere nel vuoto questo richiamo. Occorre invece avere la forza – e il coraggio – di rilanciare una nuova idea dell’Europa, alternativa ai muri, credibile e comprensibile dall’opinione pubblica, poiché ad oggi non è esistita per la gran parte delle cittadine e dei cittadini europei inebriati, al contrario, di un unico forte sentimento: la paura. Un’idea di Europa capace di far fronte, nell’immediato, all’emergenza e altrettanto capace di costruire sviluppo e benessere grazie al contributo di chi arriva. Uno sviluppo non più realizzabile con le attuali regole (vedi Dublino) e con l’idea del mondo tanto in voga oggi tra i governanti, conservatori o progressisti, europei.
* L’autore è coordinatore nazionale Arci immigrazione e asilo
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