Da Bruxelles bomba senza limiti sulla pubblicità tv
Ri-Mediamo La rubrica settimanale a cura di Vincenzo Vita
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Lo scorso 2 ottobre il parlamento europeo ha approvato la direttiva sui «servizi media audiovisivi» (Avmsd). La normativa entrerà in vigore dopo la formale approvazione del consiglio dei ministri di Bruxelles.
Gli stati avranno, poi, 21 mesi di tempo per recepire il testo nelle normative nazionali.
Il tutto è avvenuto, almeno in Italia, nel silenzio generale. Purtroppo.
Peccato, però, che l’articolato contenga una vera e propria «bomba» sulla pubblicità.
Le pur generose disposizioni contenute nel Testo Unico del 2005 (art. 38, ex legge Gasparri) fissano nel 18% (con uno sforamento del 2% nell’ora prima o in quella successiva) il limite orario di spot, mentre quello giornaliero è del 15% che sale al 20% laddove vi siano altre forme di advertising come le telepromozioni (sul punto si arrivò a un conflitto asperrimo, vedi un «Costanzo show» dell’aprile 1993 reperibile su Youtube).
L’unico tetto di qualche rigore, però, è il vincolo sull’ora di trasmissione, essendo il resto poco più che acqua fresca. E neppure si ha il sentore che le istituzioni preposte vigilino davvero su regole piuttosto blande.
Ecco, la nuova direttiva elimina il limite orario. Un regalone alla lobby efficacissima delle televisioni commerciali, Mediaset in testa.
Dalle sei del mattino a mezzanotte la percentuale così spalmata è del 20%. Esempio. Tra le 19 e le 20, il periodo della competizione dura e pura che introduce la prima serata, Canale5 ha toccato di sovente il 30% di affollamento considerando le percentuali eccedenti consentite e le telepromozioni.
In concreto, dunque, nei periodi di maggior ascolto diventa definitivamente lecito arrivare al 23/25%. Parliamo di circa 500 milioni di euro. Circa dieci volte l’ammontare del fondo per il pluralismo su stampa e radio-tv locali, finito nel mirino dell’attuale maggioranza.
E dire che la scrittura finale è persino un po’ meno inquietante delle ipotesi iniziali della commissione e della prima lettura parlamentare che introducevano il 20% secco, anche grazie a una (minoritaria) iniziativa di qualche deputato della sinistra.
Tuttavia, il «dono» venuto da Strasburgo è un vero e proprio frutto avvelenato per il pluralismo.
Perché Mediaset in calo di ascolti ha bisogno come il pane di riprendere a vendere (e svendere?) spot: senza tetti e senza ritegno. Infatti, già oggi i film vengono interrotti in modo assurdo, dalle inserzioni nei titoli di testa e di coda all’invenzione della «prima» e «seconda parte» al di là dei tempi naturali.
Ecco, il fenomeno aumenterà ulteriormente.
Che farà il governo italiano, tanto critico – e con qualche motivo – nei riguardi della direttiva sul copyright, ma finora silente sul pasticciaccio degli spot?
Non solo. Il vicepremier Di Maio e il sottosegretario Crimi hanno annunciato iniziative volte a ridurre la pubblicità sulle reti commerciali italiane. E adesso, che arriva dall’Europa un treno di «consigli per gli acquisti»? Era solo tattica per convincere Berlusconi a cedere sul presidente della Rai, Marcello Foa?
È vero che la direttiva sui media contiene pure aspetti positivi, in particolare l’obbligo per le televisioni on-demand come Netflix di mettere in catalogo almeno il 30% di opere europee. E qualcosa sui minori. Tuttavia, il buco nero della pubblicità s-regolata illumina di nero l’intera proposta.
Chissà che, sull’onda di un testo rischioso per l’Italia delle concentrazioni, delle censure e degli attacchi alla libertà di informazione, non si propongano finalmente ipotesi coraggiose e alternative da parte delle opposizioni o di coloro –tra i «gialloverdi» – che non si vogliano piegare alle lobby commerciali così platealmente.
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