Da Bismarck a Hitler, gli armeni e gli ebrei
SCAFFALE «Giustificare il Genocidio», di Stefan Ihrig per Guerini. Un volume a cura di Antonia Arslan che trova nessi e riprende il dibattito degli anni Venti
SCAFFALE «Giustificare il Genocidio», di Stefan Ihrig per Guerini. Un volume a cura di Antonia Arslan che trova nessi e riprende il dibattito degli anni Venti
Dopo aver dato alle stampe, nel 2014, il pregevole Atatürk in the Nazi Imagination, lo storico tedesco Stefan Ihrig ha continuato ad analizzare le affinità ideologiche che caratterizzano il rapporto tra la Germania imperiale, quella di Weimar e la Turchia kemalista per riflettere su un tema: la relazione esistente tra i vari stermini che hanno segnato la storia del Novecento. Più precisamente, l’autore intende fare luce sul nesso che legherebbe il Genocidio armeno (Metz Yeghérn) e la Shoah: un’interdipendenza – a suo dire – spesso ampiamente ignorata o, nel migliore dei casi, minimizzata.
LO STUDIOSO, direttore del Centro di studi germanici ed europei dell’Università di Haifa, individua invece legami assai profondi tra i due eventi e arriva a sostenere come tali avvenimenti, piuttosto vicini sotto l’aspetto temporale, siano stati intimamente connessi. E giunge a questa conclusione attraverso una ricerca che prende le mosse da un’attenta disamina della politica estera di Bismarck e Guglielmo II, passa poi a tratteggiare quella degli anni Venti e analizza infine le posizioni prese sulla questione armena dal regime nazista. Una ricerca che gli consente di istituire un parallelo tra i destini dei due popoli.
Dal momento che in questo saggio dal titolo Giustificare il Genocidio. La Germania, gli Armeni e gli Ebrei da Bismarck a Hitler (Guerini e Associati, pp. 492, euro 35, a cura di Antonia Arslan), Ihrig considera il Metz Yeghérn «parte della nostra storia e del nostro patrimonio mondiale» nonché «forse il peccato originale del XX secolo; anzi, un doppio peccato originale», visto che i responsabili dell’annientamento di un intero popolo sono rimasti in seguito impuniti. È importante mettere in rilievo, al riguardo, come l’idea dello sterminio non sia nata all’improvviso nella mente dei Giovani Turchi ma sia stata nutrita dal tradizionale atteggiamento anti-armeno che caratterizzava anche molti contenuti della stampa e della letteratura tedesca: il caso di Karl May, narratore in quel periodo popolarissimo, non è certo isolato.
È INOLTRE NOTO come il II Reich abbia assunto a lungo una posizione filo-ottomana. Il legame tra i due imperi fu stretto e trovò il suo perno nella collaborazione in ambito militare: le truppe turche furono per esempio istruite per anni dal generale Colmar von der Goltz, che ottenne per questo il titolo di «Pascià».
Il cuore del libro è però costituito dal dibattito che si sviluppò nel corso degli anni Venti. Fu infatti allora che, in seguito alla dissoluzione dei due imperi, ebbe origine un profondo risentimento nei confronti di coloro che ne venivano considerati i rispettivi, ostili corpi estranei: ebrei e armeni. Da ciò nacque l’idea secondo la quale, scrive l’autore, «il genocidio non era soltanto concepibile nella Germania dell’epoca, ma fu anche ampiamente discusso attraverso il prisma della visione del popolo armeno come uguale, simile o peggiore di quello ebreo».
Quello sterminio fu dunque accettato, in Germania, alla stregua di un costo «ragionevole» imposto dai dettami della realpolitik.
ACCADDE successivamente che esso fu prima negato e poi giustificato tanto dai nazionalisti quanto dai nazisti, Questi ultimi, in particolare, condivisero e misero in pratica il seguente principio: un governo può fare ciò che vuole dei propri sudditi indipendentemente dal fatto che si tratti di donne, anziani e bambini inermi. Che da questo si arrivi all’idea dell’annientamento non deve meravigliare; e non deve stupire nemmeno che la persecuzione antiebraica sia stata sostanzialmente tollerata dalla comunità nazionale tedesca.
Insomma, il modo in cui il Metz Yeghérn venne recepito in Germania rappresentò un’enorme «motivazione», rafforzata per di più dall’assenza di una qualsiasi condanna. Nel concludere la sua monumentale opera, Ihrig si chiede se il mondo, dopo l’epilogo della Seconda guerra mondiale, «abbia fatto abbastanza per dissuadere gli Stati dal massacrare le popolazioni civili».
Una domanda alla quale è difficile rispondere in maniera affermativa.
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