Visioni

Da Aldo Moro a Alvin Curran, viaggio nella Roma dei ’70

Alvin Curran in «When There Is No More Music To Write...»Alvin Curran in «When There Is No More Music To Write...»

Cinema «When There Is No More Music To Write, and Other Roman Stories» è l'ultimo film di Éric Baudelaire. Il regista lo presenterà domani a Filmmaker Festival, alle 21.30 alla Cineteca Arlecchino

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 20 novembre 2022

La fine della storia e l’inizio di una nuova dove tutto, per definizione, è possibile. La ricerca di una composizione in un mondo nel quale, pare, non vi sia più una musica da scrivere. Sono gli anni Settanta, a Roma, tra filmmaker come Annabella Miscuglio che indagano con le immagini il senso della realtà e, al tempo stesso, portano avanti la propria militanza, e artisti come Franco Evangelisti che esplorano il confine di una sonorità che non può permettersi di adagiarsi sul passato, soprattutto sull’orribile epoca appena trascorsa, quella della Seconda guerra mondiale, dei campi di sterminio, di popolazioni mandate a morire, di un’umanità che si è approssimata all’auto-distruzione. E poi la Roma di Barbara Balzerani e Anna Laura Braghetti, del rapimento e dell’uccisione di Aldo Moro, e del sangue della sua scorta che, nelle riprese girate poco dopo l’assalto, ancora scorre su via Fani.

LA STESSA strada che doveva prendere per parcheggiare, Antonio Spiriticchio, il fioraio a cui i brigatisti tagliarono le gomme del suo furgone per impedirgli di intralciare la missione omicida del 16 marzo 1978.
Ed è proprio dall’uomo dei fiori, dalla sua assenza nel luogo di una storia italiana, da un quadro che sembra lo stesso di sempre e che non lo è, che Éric Baudelaire inizia il suo nuovo lavoro, When There Is No More Music to Write, and Other Roman Stories, in programma domani fuori concorso a Filmmaker. Un’opera complessa, tra materiali d’archivio e super 8 dello stesso regista, riferimenti storici e politici riconoscibili come il sequestro di Aldo Moro e il verbale della testimonianza di Spiriticchio avvenuta il 27 marzo alla Questura di Roma.
Un film sperimentale che dopo circa quindici minuti svela il suo autentico protagonista, Alvin Curran, uno dei massimi esponenti della musica contemporanea, che arriva a Roma poco più che venticinquenne nel 1964 e che, successivamente, fonda il gruppo di improvvisazione libera, Musica Elettronica Viva.

«NON MI RICORDO nulla. Che è un bell’inizio a Roma. Non mi sono mai sentito così…c’è una bellissima parola in italiano, “spaesato”, che vuol dire fuori dal mio ambiente, fuori dal mio paese, senza punti di riferimento. Da un lato, tutto era possibile, dall’altro impossibile». Le parole di Curran non danno vita a un vero e proprio racconto autobiografico, sono delle riflessioni frammentarie su un tempo, sull’idea di ricominciare da capo, come accade spesso con l’arte. Sul porsi, appunto, tra il possibile e l’impossibile, tra il fare all’interno di una consuetudine, e l’azzerare tutto per ripartire con qualcosa di inedito, di invisibile finché non si è provato a realizzarlo.
«Non riesco a immaginare un mondo senza forme di resistenza. Non smetteremo mai di resistere. Fa parte della natura umana», afferma il compositore, colto dal brivido che a prevalere siano quelli che pensano alla risoluzione dei conflitti, alla fine della storia e delle ribellioni. Distruggere e creare, abbattere e costruire, senza che il primo o il secondo movimento assumano le sembianze di un atto definitivo. Sarebbe terrificante abbandonare i bivi, gli incroci, la rete dei sentieri, per intraprendere tutti insieme un’identica strada.

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