L’orsa JJ4 è figlia di Joze e Jurka, due dei dieci orsi catturati in Slovenia e rilasciati in Trentino nell’ambito del progetto Life Ursus, condotto tra il 1996 e il 2004 con la collaborazione tra Parco Adamello Brenta, Provincia Autonoma di Trento e Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica. L’iniziativa, finanziata dall’Unione europea, era volta a evitare che il plantigrado scomparisse dalle Alpi Centrali, dove la persecuzione da parte dell’uomo aveva ridotto la popolazione a un numero tale da non essere più vitale. Filippo Zibordi è uno degli zoologi che ha lavorato a un progetto straordinario che ha ottenuto risultati eccezionali, ma che per alcuni aspetti non ha saputo essere all’altezza della sfida lanciata.

A quando risale l’idea di tentare la reintroduzione del grande plantigrado in Trentino?

Possiamo dire che il presupposto «morale» del progetto è antico di un secolo: già negli anni Venti in Trentino si esprimeva preoccupazione per la rarefazione degli orsi; i pionieri della conservazione si accorsero che la perdita di habitat e la caccia lo stavano portando all’estinzione; si può dire che la prima forma di protezione dell’orso risale al Testo Unico sulla caccia del 1939. Ciononostante, le popolazioni continuavano a rarefarsi, quindi ecco che nel 1968 il primo PUP (Piano Urbanistico Provinciale) istituisce il parco Naturale Adamello Brenta con la precisa finalità di proteggere l’orso. Fra gli anni ’80 e ’90 vennero scritti diversi progetti di conservazione che prevedevano interventi di salvaguardia ma non riuscirono mai a trovare concretezza. Possiamo quindi dire che Life Ursus è frutto di una logica antica.

Perché è importante la presenza dell’orso sulle Alpi?

Dal punto di vista ambientale, l’orso è una specie di elevata importanza ecosistemica in quanto mantiene rapporti ecologici con moltissime specie: ha una dieta molto varia, sparge una grande varietà di semi in un territorio vasto, è una sorta di ingegnere ambientale, perché nella sua ricerca di cibo scava, sposta, rimuove, creando così delle nicchie ecologiche per altri animali. Le evidenze ecologiche della sua importanza sono facili da riscontrare in quanto è un animale grande e con un areale vasto. Ha un’importanza anche culturale: è la specie con cui ci siamo evoluti negli ultimi 80 mila anni: è rappresentato nelle pitture rupestri, troviamo le sue vestigia nelle tombe preistoriche. C’è un po’ di orso nella nostra cultura, e quindi anche in ciò che siamo adesso.

La reintroduzione dell’orso è stata tentata anche in altre parti d’Europa?

Per le sue caratteristiche il progetto Life Ursus ha rappresentato una unicità in Europa. Si era tentato qualcosa in Austria negli anni ’90, dove erano rimasti 30 orsi che stavano diminuendo vertiginosamente, poi la reintroduzione si è interrotta a causa dei numerosi episodi di bracconaggio e i fondi sono stati spostati sulla comunicazione. Lo studio di fattibilità di Life Ursus sottolineava questa unicità e la grandezza della sfida: si tratta di una specie carismatica, potente, che può spostarsi per decine di km nel corso di una sola notte, che arriva a pesare più di 300 kg; non è una specie aggressiva ma a causa della sua imponenza può essere pericolosa; anche questo elemento critico era preso in considerazione nello studio di fattibilità perché, sebbene rari, gli attacchi da parte dell’orso sono possibili: secondo uno studio pubblicato nel 2019 su Scientific Report gli attacchi mortali degli orsi all’uomo in Europa sono stati 19 in un arco di tempo di 16 anni, quindi circa uno all’anno (anche se ben 11 di questi sono avvenuti in Romania, dove la situazione è molto particolare).

A distanza di 20 anni e sulla base dei monitoraggi, nei 600 chilometri quadrati tra i territori di val di Sole, val Rendena e parco Adamello-Brenta vivono circa 110 orsi: 90 adulti e 20 cuccioli. Il Presidente della Provincia Autonoma di Trento Fugatti afferma che, anche sulla base del progetto, sono troppi e andrebbero dimezzati. Qualcun altro dice che era previsto si muovessero di più. Dichiarazioni di questo tipo hanno fondamento?

Queste dichiarazioni sono frutto di una lettura errata del progetto: il numero di 50-60 individui che viene spesso citato si riferisce al numero minimo vitale, non al numero massimo di capacità ambientale. Nello studio di fattibilità era previsto che, in questa zona, il numero potesse arrivare a 100. Dal punto di vista ecologico l’orso è una specie che, come tutti gli animali selvatici, si autoregola con dei meccanismi intrinseci: aumenta la predazione intraspecifica, gli esemplari vanno in dispersione; negli ultimi 15 anni sono usciti dal Trentino almeno 50 orsi. Qualcuno è scomparso, altri sono stati bracconati o abbattuti, alcuni maschi sono tornati indietro perché non hanno trovato femmine. Esistono delle barriere geografiche, ma non in ogni direzione: verso nord e verso ovest ci sono dei corridoi, tant’è vero che in Lombardia si registra ogni anno la presenza di 2-5 orsi.

C’è qualcosa che non ha funzionato?

Dal mio punto di vista si è passati troppo velocemente a una modalità «ordinaria» di gestione. Alcune linee di azione previste sono state abbandonate o non seguite esaustivamente. In primo luogo, nella ricerca scientifica applicata: nelle prime fasi del progetto il monitoraggio era costante, tutti i 10 orsi introdotti erano muniti di radiocollari e questo ha fornito moltissime informazioni su dove andavano, che tipo di ambiente frequentavano, cosa mangiavano etc: dati fondamentali per la ricerca vista l’elevata sperimentalità del progetto. Dal 2004 si è deciso di mettere il radiocollare solo agli individui problematici. In questo modo abbiamo rinunciato a informazioni importantissime anche per una gestione mirata. In secondo luogo, nell’azione dell’amministrazione pubblica: gli interventi di dissuasione nei confronti degli esemplari problematici devono essere realizzati con tempestività ed efficacia. Non da ultimo viene il fatto che le attività di informazione vanno fatte soprattutto in «tempo di pace», non quando si scatena l’isteria collettiva. C’è disinformazione e ignoranza sui comportamenti da tenere. Dal 2004 in poi, è stato fatto poco. Prima il progetto era un fiore all’occhiello, poi se ne è parlato sempre meno fino a che è stato ostacolato. Anche prima della giunta Fugatti, ogni euro messo a bilancio per il progetto veniva contestato dal Consiglio Provinciale. Li considerano soldi sprecati.

Trasferire gli orsi è una soluzione?

Si tratta di proclami del tutto irrealizzabili, che potrebbero portare a uno stallo e aumentare la percezione che la situazione sia fuori controllo nelle comunità locali. Il bracconaggio già esiste.

Lei è d’accordo con la decisione di risparmiare la vita all’orsa JJ4?

Mi rendo conto che può risultare cinico, ma il destino di JJ4 è una questione che non attiene alla biologia della conservazione, che si occupa degli animali a vita libera. Da zoologo e sulla base dei protocolli previsti dal progetto posso che dire che è corretto prelevare dalla vita libera i cosiddetti problematici, sia che ciò avvenga tramite abbattimento sia tramite ergastolo: serve per tutelare l’incolumità pubblica e per rinsaldare il patto sociale, quindi anche a salvaguardia di tutti gli altri orsi.