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Da «8 Man» a «Alita», la storia dei cyborg

Da «8 Man» a «Alita», la storia dei cyborg

Maboroshi Il prossimo film di Robert Rodriguez attinge da una tradizione che in Giappone ha inizio più di cinquant'anni fa

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 1 febbraio 2019

L’imminente uscita il prossimo 14 febbraio di Alita – Angelo della battaglia, il lungometraggio di Robert Rodriguez, è una buona occasione per fare un salto nel passato recente del Giappone ed esplorare le varie «incarnazioni» che il cyborg ha avuto nel corso dell’ultimo secolo. Il film è infatti la trasposizione sul grande schermo, prodotta, sceneggiata e fortemente voluta da James Cameron, di Gunnm, il manga cyberpunk uscito in Giappone fra il 1990 ed il 1995, e scritto ed illustrato da Yukito Kishiro. Sulle pagine del fumetto vengono narrate le vicende di Alita, una ragazza senza memoria il cui cervello è stato inserito dentro un corpo metallico, in una terra oramai ridotta ad una discarica e dove i ricchi e i potenti abitano a Salem, una città sospesa nel cielo.

Si tratta di uno dei fumetti e dei personaggi cyborg che più hanno saputo catturare l’attenzione del pubblico giapponese ed occidentale sul finire del secolo scorso.
Ma la storia del cyborg nella cultura popolare nipponica inizia ben prima, più di mezzo secolo fa, quando lo scrittore Kazumasa Hirai con disegni di Jiro Kuwata creò, per il mensile «Weekly Shonen Magazine», 8 Man. Il manga uscì per tre anni dal 1963 al 1966 e racconta le vicende di un poliziotto ferito e quasi ucciso durante una sparatoria, che viene trasformato in un essere metà macchina metà essere umano.

Se la storia assomiglia molto da vicino a quella raccontata in RoboCop è perché sembra che Paul Verhoeven si sia ispirato, anche per l’aspetto esteriore del protagonista, proprio al fumetto di Hirai per la realizzazione del film culto del 1987. Al manga seguì quasi subito una serie animata, mentre nel 1992 ne è stato tratto un live-action, un B-movie a metà strada tra Tron, Blade Runner, RoboCop e Tetsuo.

8 Man anticipa di pochi mesi Cyborg 009 di Shotaro Ishinomori, il fumetto poi trasposto anche in innumerevoli serie animate nel corso dei decenni, una delle quali arrivata anche in Italia. Protagonisti sono 9 cyborg, anch’essi prodotti da esperimenti ed ognuno dotato di una particolare abilità. Quasi un decennio più tardi arriva Kyashan, targato Tatsunoko Production, ragazzo che per sconfiggere un gruppo di androidi ribellatisi al proprio creatore chiede al padre-scienziato di essere trasformato in cyborg.
Gli esempi di cyborg naturalmente sono moltissimi sia nell’animazione che nei manga e si sono moltiplicati nel corso degli ultimi decenni, ci sembra necessario ricordare almeno un altro dei personaggi più popolari e simbolici provenienti dal Sol Levante, il maggiore Motoko Kusanagi di Ghost in the Shell.

Dapprima creato in manga da Masamune Shirow e in secondo momento portato sul grande e piccolo schermo da Oshii Mamoru e la I.G Production, in lungometraggi e serie animate. La ragazza creata da Shirow assieme ad Alita, entrambi sono personaggi femminili,è forse l’esempio più riuscito di come usare il cyborg in narrazioni popolari e rivolte al grande pubblico. Fra battaglie, lotte e sparatorie, la complessità di questi due esseri che sfidano e mettono in discussione il limite fra artificiale e umano rivela, come acutamente aveva scritto e preconizzato a più riprese Antonio Caronia a proposito del cyborg, qualcosa di veramente essenziale per la nostra epoca.

Non solo come la biopolitica ed i processi di potere si estendano anche oltre la vita propriamente umana, ma anche come «l’uomo artificiale» in tutte le sue permutazioni romanzate, fumettistiche, televisive o cinematografiche, sia uno dei simboli più potenti attraverso il quale si intravede la fine ed il superamento dell’antropocene.

matteo.boscarol@gmail.com

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