Cypkin, doppio viaggio in treno, e la sintassi incalza
Letteratura russa Da Mosca a Leningrado, leggendo il Diario di Anna Grigorev’na, Leonid Cypkin ricapitola la fuga dai debiti dei coniugi Dostoevskij, tra continue digressioni: Estate a Baden-Baden, da Neri Pozza
Letteratura russa Da Mosca a Leningrado, leggendo il Diario di Anna Grigorev’na, Leonid Cypkin ricapitola la fuga dai debiti dei coniugi Dostoevskij, tra continue digressioni: Estate a Baden-Baden, da Neri Pozza
Nell’Unione sovietica degli anni Settanta tre romanzi gravitano attorno a una linea ferroviaria: La scuola degli sciocchi di Sasha Sokolov, Mosca-Petuški di Venedikt Erofeev e Estate a Baden-Baden di Leonid Cypkin. Le tre opere sono unite anche da una comune linea del destino: l’avere vissuto, prima di giungere al riconoscimento letterario e alla consacrazione, un’esistenza clandestina. Se i primi due sono capolavori studiati in patria e all’estero, tutta da scoprire è la sorte dell’enigmatico e intenso Estate a Baden-Baden, che oggi Neri Pozza ripubblica, complice il bicentenario dalla morte di Fëdor Dostoevskij, di cui si traccia un profilo fosco e profondissimo (traduzione di Margherita Crepax, pp. 224, € 16,00).
Figlio di medici ebrei, Leonid Cypkin è nato a Minsk nel 1926, da una famiglia segnata dalle persecuzioni antisemite del Grande Terrore staliniano prima e della Seconda guerra mondiale poi. Nel 1957 si trasferì a Mosca dove esercitò la professione di patologo e di ricercatore; ruolo, quest’ultimo, dal quale fu progressivamente escluso a causa dell’emigrazione del figlio, a lui e alla moglie mai concessa.
Susan Sontag lo scoprì
Persona taciturna e schiva, coltivava la scrittura «per il cassetto», secondo l’espressione russa, negandosi persino la possibilità di una pubblicazione per i canali del samizdat. Solo nel 1982, anno della sua morte, Estate a Baden-Baden vide la luce per il settimanale russo Novaja Gazeta, edito a New York. La risonanza internazionale la raggiunse tuttavia solo molti anni dopo, quando una folgorante recensione di Susan Sontag a questo frutto dimenticato, «tra i più belli, originali e entusiasmanti di un intero secolo di narrativa» (in prefazione al volume), svelò l’intreccio di amorosi sensi che lega Cypkin a Dostoevskij.
Cypkin segue il tragitto di un doppio viaggio ferroviario, quello personale che lo porta da Mosca a Leningrado accompagnato dalla lettura del Diario di Anna Grigorev’na, stenografa e seconda moglie dello scrittore russo, e quello dei coniugi Dostoevskij che tra il 1867 e il 1971, in fuga dai debiti, soggiornarono a Berlino, Dresda, Baden-Baden e in altre località europee. Tra le pagine del Diario o attraverso il vetro dei finestrini appannati l’autore ricava una fessura temporale e da quel foro osserva la vita dei coniugi in un labirinto di tessere: un pranzo in una terrazza sull’Elba, i guanti logori di Anna Grigorev’na, la disputa con Turgenev. Negli episodi di vita reale, inoltre, si innestano fughe immaginifiche e simboliche, il tumultuoso mare della vita sentimentale, l’ardua ascesa alla vetta della felicità e la caduta rovinosa nel vizio del gioco. Gli anni a Baden-Baden sono infatti quelli in cui Fëdor si lasciò trasportare dalla malattia dell’azzardo.
Se al cuore della poetica dostoevskiana si trovano la forma dialogica e il racconto dei labirinti mentali, per Cypkin è il momento biografico lo strumento tramite il quale prendono vita i sentimenti che hanno abitato l’uomo e lo scrittore Dostoevskij: ne emerge una figura segnata dalle umiliazioni e dal senso di rivalsa, dall’isolamento artistico e dalla sofferenza elevata, prodiga, collerica, un uomo che ha gusto nello scendere sull’orlo di un precipizio, come dimostra – del resto – il complesso mondo polifonico delle sue opere.
Dall’altro lato Cypkin è interessato alla natura dell’amore coniugale, che Anna custodisce con dignità e tenerezza, ma che l’autore non può fare a meno di definire come una tela ben tessuta, dove «la vittima era stata deliziata dalla puntura» del ragno.
La formula di questo doppio viaggio è una vivace e incalzante sintassi, regolata da digressioni fluide e continue, che producono un andamento ritmico e rivelano nel respiro di una stessa frase (o di un periodo) le parti autobiografiche e le vicende dei Dostoevskij; la soluzione formale è analoga a quella che Auerbach, in Mimesis, sottolinea a proposito dello stile omerico: una fusione di prospettive in cui tutto è restituito con la medesima vividezza. Ciò che emerge dal sottosuolo è ora «ugualmente illuminato».
La natura e l’origine del proprio amore per l’autore dell’Idiota e dei Fratelli Karamazov, vengono argomentate da Cypkin tenendo conto della contraddizione che oppone lui ebreo all’antisemita Dostoevskij, lui offeso all’oggetto del suo amore, che lo offende. Ma tutto si spiega nel particolare sentimento che gli ebrei nutrono per le arti: «Amare Dostoevskij vuol dire amare la letteratura», afferma aforisticamente Sontag.
In potere dei libri
Va detto che la condizione di clandestinità nella quale si erano rifugiati intellettuali e artisti sovietici negli anni Sessanta e Settanta aveva ribaltato l’ordinario rapporto tra il mondo immaginario e quello reale. Vivere in modo autentico era possibile solo immaginandolo, e perciò i libri sembravano diventati più reali della vita stessa: «i libri ci tenevano in loro potere – scriveva Brodskj, ed era un potere assoluto Dickens era più reale di Stalin o di Beria», mentre «la realtà stessa era considerata qualcosa di assurdo e di molesto». Se l’uomo del sottosuolo Cypkin, e con lui tutta la sua generazione, avevano trovato nella letteratura la forma elettiva della loro esistenza, il rispecchiamento di sé nella vicenda umana dei Dostoevskij basta a giustificare il motore della sua scrittura.
Estate a Baden-Baden è l’esito di un percorso artistico che dalle poesie degli anni giovanili passa per la composizione di alcuni racconti e prose brevi. Con il romanzo giunge infatti a maturazione uno stile narrativo infuso di realismo e ossessiva ricerca del dettaglio, come se non solo il fotografo (la fotografia e il cinema furono altre passioni di Cypkin), ma anche il patologo si avventurasse nell’osservazione; così si scopre che Fedja (Fëdor) era «piccolo di statura e con le gambe così corte da sembrare che anche se si fosse alzato dalla sedia non sarebbe apparso più alto, aveva il volto di un contadino russo… la faccia da sagrestano e da militare in pensione».
Voce di grandi autori del Novecento (e non solo) russo tra i quali Nabokov e Sasha Sokolov, Margherita Crepax lascia riemergere nella sua traduzione un romanzo di passi febbrili, stazioni, virgole e parole aggrappate al silenzio e al segreto.
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