Cura Italia, pasticcio al senato: fiducia su un testo che cambia
Governo Seduta complicata per le misure anti contagio. I continui decreti legge che si inseguono costringono la maggioranza ad aggiornare i provvedimenti anche fuori tempo massimo. La presidente del senato: episodio irripetibile. Eppure, per la prima volta, off-limits per i giornalisti
Governo Seduta complicata per le misure anti contagio. I continui decreti legge che si inseguono costringono la maggioranza ad aggiornare i provvedimenti anche fuori tempo massimo. La presidente del senato: episodio irripetibile. Eppure, per la prima volta, off-limits per i giornalisti
Sono entrati in aula un po’ per volta, hanno gridato sì o no dai loro banchi, lontani, e così hanno approvato il decretone Cura Italia e confermato la fiducia al governo (144 favorevoli, mai così pochi per il Conte 2). Ma per i senatori non è stata una seduta facile, né veloce come speravano.
Doveva aprirsi con la richiesta della fiducia, ma alle 9.50 il ministro per i rapporti con il parlamento informa l’aula che «c’è un ritardo nella fase di bollinatura alla Ragioneria dello stato» e chiede un’ora e mezza di sospensione dei lavori. E subito avviene il pasticcio. Perché il ritardo può giustificarsi solo con qualche problema del maxiemendamento sul quale il governo si prepara a mettere la fiducia. Che evidentemente non è identico al testo approvato dalla commissione martedì notte, già verificato nelle coperture. La questione però non viene sollevata in aula, dove prevale l’esigenza di non allungare troppo la seduta.
«Ci sono tantissimi senatori che devono rientrare a casa e sappiamo che il trasporto in questo momento è difficoltoso» fa notare il capogruppo della Lega Romeo. E propone di iniziare comunque la discussione sulla questione di fiducia. Il governo ancora non l’ha chiesta, ma si sa che sta per farlo. Il maxiemendamento non c’è ancora (e manca anche la relazione della Ragioneria che deve obbligatoriamente accompagnarlo) ma, dice ancora il senatore Romeo, «sappiamo benissimo che fra due ore arriverà», quindi «possiamo proseguire» se il governo «conferma che il testo, nella stragrande parte del suo contenuto, è uguale a quello che abbiamo votato in commissione».
Ma il governo non conferma. La ragioneria dello stato ha mandato una nota in otto pagine dove chiede diverse correzioni. Ci sono undici modifiche, avverte infatti il ministro D’Incà in aula. La colpa è dei troppi decreti legge, ormai si inseguono e il Cura Italia è diventato vecchio prima di essere convertito. Cinque articoli del Cura Italia, infatti, sono rientrati nel decreto liquidità, in vigore proprio da ieri mattina, e così altre cinque modifiche approvate in commissione (per allargare la platea dei lavoratori in cig, ad esempio, o per prolungare l’accoglienza dei migranti). Lasciarle al loro posto significherebbe solo ritardarne l’applicazione. L’undicesimo doppione scovato dalla Ragioneria, infine, riguarda una norma (la sanatoria del tirocinio degli avvocati) che è già stata inserita nel nuovissimo decreto scuola.
Ma nell’aula del senato si va avanti a discutere su una fiducia che non è stata ancora chiesta su un testo che ancora non c’è. E quando anche questa discussione surreale, animata solo da un battibecco tra La Russa e il senatore dei 5S Presutto sul modo corretto di indossare le mascherine, inevitabilmente finisce, il ministro D’Incà deve chiedere un’altra ora di sospensione «per poter terminare il lavoro di bollinatura. Mi scuso». Dopo la sospensione il governo è finalmente pronto a togliere il velo sul maxiemendamento, interamente sostitutivo del decreto Cura Italia. Lo consegna alla presidenza e il ministro chiede il voto di fiducia come tutti stavano aspettando. Sono le 12.30 e i senatori arrivati da lontano sperano di ripartire al più presto, molti di loro sono venuti in auto vista la quasi totale cancellazione di treni e aerei.
Cominciano le dichiarazioni di voto, qualcuno interviene con la mascherina (tricolore quelle di Fratelli d’Italia), qualcun altro la toglie quando parla, vanificandone l’utilità. La presidente Casellati la indossa male, con il naso scoperto. Deve intervenire più volte per far spostare i senatori, in modo che non siano mai troppo vicini. Alcuni sono stati traslocati in alto, sulle tribune degli ospiti e della stampa. Conclude la senatrice M5S Taverna con una citazione inconsapevole di Totò: «Di fonte alla morte siamo tutti uguali». Finito, finalmente si vota.
Anzi no, perché il ministro D’Incà, imbarazzatissimo, chiede altri 15 minuti di stop. L’opposizione, fin qui più che morbida per non prolungare oltre la seduta, a questo punto protesta. Se non c’è ancora il testo del maxiemendamento significa che il ministro ha posto la fiducia su niente. Anche la presidente Casellati chiede chiarimenti. D’Incà spiega, ma si tradisce: «Non c’è nessuna modifica fatte salve le indicazioni della Ragioneria che in questo momento sta terminando la bollinatura … ecco, colleghi, è arrivata la relazione tecnica». Per il leghista Calderoli è facile infierire: «La fiducia è stata chiesta due ore fa quando il maxiemendamento senza il via libera della Ragioneria era inammissibile».
Il pasticcio è troppo evidente. «Siamo andati fuori dalle normali regole», ammette Casellati, «abbiamo adottato un procedimento che non esisteva. Non succederà più, neanche in situazioni di emergenza come questa». Una seduta irripetibile. Che i giornalisti non hanno potuto seguire dalle tribune, né i fotografi e i cameramen riprendere. Avete letto un racconto costruito sulle parzialissime riprese interne, i video degli stessi senatori in aula e il resoconto stenografico. Per fare più spazio ai senatori, infatti, alla presidenza di palazzo Madama non è venuto in mente niente di meglio che cacciare la stampa.
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