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Cuore e testa di una ragazza degli anni ’70

Cuore e testa di una ragazza degli anni ’70

Le sue bussole, le sue domande, il suo sorriso Se ne va una cara amica e una collaboratrice preziosa del nostro giornale. Oggi alle 10 il saluto al tempietto egizio di Roma

Pubblicato circa 6 anni faEdizione del 16 ottobre 2018

Oggi saluteremo Bia Sarasini per l’ultima volta, alle 10 al tempietto egizio di Roma. Con Bia se ne va una cara amica e una collaboratrice preziosa del nostro giornale. Con il manifesto, del resto, Bia aveva una lunga storia in comune, che inizia nel lontano 1970 quando, da Salerno, partecipò alla nascita del gruppo. Ci conoscevamo appunto dai primi anni ’70, dai tempi dell’università di Roma, quando condividevamo le riunioni nella famosa Aula VI di Lettere e Filosofia, sede degli incontri del Movimento universitario.

Negli ultimi anni la sua collaborazione con il giornale era tornata assidua e prevalentemente dedicata alla battaglia delle donne, il suo ultimo articolo che pubblichiamo in queste pagine era proprio riservato all’8 Marzo («La festa della mamma è finita»).

Ma naturalmente, da persona impegnata nella comune battaglia per una sinistra nuova, Bia ha scritto anche sulle vicende politiche e culturali del paese, con un’attenzione alle correnti profonde che spostano il senso comune. E seguiva con un occhio critico e informato il mondo cattolico, i temi della bio-politica, la stagione del nuovo papato di cui ha analizzato encicliche e discorsi. Se avesse potuto avrebbe sicuramente commentato l’ultima, brutale, considerazione di papa Francesco sull’aborto.
Bia ha scritto sulle nostre pagine culturali prendendo di petto il confronto tra politica, religione e morale. Affrontando snodi difficili come il caso di Luana Englaro («Le parole per dire la morte»), osservando i paradossi inaspettati della storia, come l’esplodere sul piccolo schermo della guerra in Iraq («Turisti della guerra»). Fino a questioni politiche legate alla costruzione della leadership: «Qual è la strada per un carisma femminile diffuso e condiviso se qualunque discorso pubblico sulle donne, anche politiche, parte sempre dalla bellezza?».

La sua voce leggera ne accompagnava la presenza, di cuore e di testa, e ne faceva una voce viva nei luoghi della discussione e della militanza. Se c’era un convegno, un seminario, un dibattito sulle questioni di genere, preferibilmente osservate da punti di vista diversi e fuori dagli stereotipi, lei c’era. C’era quando Maurizio Landini, appena eletto segretario della Fiom, fu chiamato a un confronto con le femministe, Bia era lì e raccontava sul manifesto come il giovane leader sindacale, digiuno di femminismo, si confrontasse sul tema «Lavoro e vita si incontrano». Oppure eccola all’Aquila dopo il terremoto per chiedere una casa delle donne nella città distrutta.

Non è possibile riassumere tanti anni di scrittura e di impegno attivo. La sua militanza femminista è stata interpretata e vissuta in una vita di studi e di approfondimenti, che l’hanno portata a scrivere, e poi a dirigere numerose pubblicazioni, che ne hanno fatto una risorsa della memoria storica del femminismo.

Ma soprattutto Bia era una persona sorridente e, qualità rara, capace di ascoltare, decisa e ferma nei propri convincimenti, ma pronta a esprimerli con il dialogo. Per me, per noi una collaboratrice ideale, disponibile, di valore.

La sua mancanza, in questi ultimi mesi, si faceva già sentire, avremmo avuto bisogno di averla accanto ancora a lungo, per chiamarla e avere la sua opinione sui fatti del mondo.
Per fortuna ci lascia molte bussole culturali e un grande lavoro di scrittura. Nel salutarla dalle pagine di quello che era anche il suo giornale, vorrei ringraziarla di questi anni trascorsi insieme nella reciproca comprensione, nel comune fastidio per ogni forma di autocertificazione della verità o di cedimento alle politiche patriarcali e neoliberiste.

Avrei voluto dirle che il buonissimo tè che mi regalò a natale, ho continuato a gustarlo ogni giorno, e così ogni mattina in qualche modo continueremo a salutarci.

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