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«Cucù», «Kapò», «Abbronzato»

divano

Divano La rubrica a cura di Alberto Olivetti

Pubblicato circa un anno faEdizione del 21 luglio 2023

Chi acquista meriti e rango nella promozione imprenditoriale operando assiduamente a raccordare lecito e illecito agisce in grazia di poteri conniventi. Il bisogno di corrispondenze politiche è primario e garantisce la stabilità dell’impresa che, diversamente, ove cosiffatte relazioni venissero a mancare, rischia il collasso. Così accade che l’imprenditore privato, quando vacillino o non risultino più sicuri i consueti appoggi ‘pubblici’, al fine di mantenere attive le cointeressenze d’ordine politico per lui vitali, debba assumerne la diretta gestione, e presentarsi di persona come un attore politico, appunto. La prima urgenza da assolvere è fugare ogni sospetto che lo vorrebbe mosso da un suo qualsivoglia interesse privato, mentre, all’opposto deve risultare a tutti chiaro che è per un alto ideale, la libertà per esempio, che egli si mette a disposizione del suo paese e, perché no?, dell’umanità intera. L’interesse va mascherato da disinteresse, il calcolo va mascherato da ideale. La contraffazione, il trucco, il falso come vero e il vero come falso, la maschera ed altri espedienti consimili, vengono a costituire la ratio che sta a fondamento di una tale operazione ‘politica’. Ed è una ratio che esige, per affermarsi con successo, una, per dir così, declinazione e una strumentazione teatrali della politica.

Nel 1994, nel momento in cui ha deciso di impegnarsi in prima persona come politico, Berlusconi ha usato una metafora sportiva e ha parlato di una sua «discesa in campo». Penso che, alla prova dei fatti, l’ingresso di Berlusconi in politica sia stato piuttosto una ‘entrata in scena’.

Un elemento teatrale è dall’inizio connaturato a Berlusconi, subito messo in evidenza nel suo primo discorso agli italiani, trasmesso da una emittente televisiva di sua proprietà e preparato non solo nella stesura e nella lettura del testo scritto, ma studiato, con altrettanta attenzione, nella scelta accurata del trucco, della scena, dell’abito e della inquadratura secondo una calcolata drammaturgia. La sua ‘entrata in scena’ ha dunque avuto il carattere di un fatto politico consapevolmente costruito come un fatto teatrale, ovvero l’ingresso di un ‘personaggio’ che recita in un ruolo di protagonista.

Per trent’anni, fino all’ultimo, Berlusconi ha curato i suoi interessi imprenditoriali e, con grande perizia, questo suo lato teatrale così come ha coltivato artificialmente la portentosa rinascita e inarrestabile crescita dei suoi capelli e gli interventi a nascondere gli effetti dell’età sul volto (e altrove).

Nella Commedia dell’Arte un personaggio si riconosce dall’abito che indossa. Berlusconi è il doppiopetto blu, la cravatta, le scarpe nere lucide con il tacco rialzato per aumentare la statura. E poi è per tutti Il Cavaliere, per la stampa che gli aggiusta addosso i copioni, per i cittadini che sono chiamati allo spettacolo. Una volta costruito il personaggio de Il Cavaliere accanto ai numeri di repertorio (l’imprenditore che si è fatto da sé; la guerra senza quartiere ai comunisti; non pagare le tasse allo Stato che soffoca la libera iniziativa; quanto sono belle le donne e così via) Berlusconi deve, secondo le regole della Commedia dell’Arte, prodursi in numeri di improvvisazione che sottolineino la sua naturale simpatia, la battuta pronta («Cucù» ad Angela Merkel; «Kapò» a Schultz; «abbronzato» ad Obama; e così via), la buona scorta di barzellette.

Questa è la costruzione del personaggio de Il Cavaliere realizzata da Berlusconi medesimo. Parallela e costante, c’è poi quella ad opera di attori del cabaret televisivo, imitatori, vignettisti.

Berlusconi non ha protestato mai più di tanto contro la caricatura de Il Cavaliere, enfatizzata dalla satira fino al dileggio, consapevole che la opposizione della satira è una opposizione di Sua Maestà: il Fool conferma la regalità mettendola in ridicolo, con lo sberleffo ribadisce la sovranità. Così la opposizione politica a Berlusconi è stata oscurata dalla opposizione recitata della satira. Ma è facile constatare che, nel corso degli ultimi trenta anni, le forme del confronto e della discussione politica hanno assunto in Italia modi e regole di ordine ‘teatrale’.

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